Il paradosso è solo apparente: da un lato, la buona performance di ieri di Piazza Affari (+1,40%) e delle Borse in generale aiutata da una serie di good news rimbalzate dallAmerica; dallaltro, lalta temperatura dello spread tra Btp e Bund, tornata sopra quota 500.
I quasi 490 miliardi di euro di liquidità, al tasso super-appetibile dell1% a tre anni, canalizzati dalla Bce verso un sistema bancario col fiato corto, non hanno avuto al momento alcun impatto sul mercato dei bond. Il fenomeno può sembrare strano, se si considera che le banche italiane si sono accaparrate 116 miliardi, ovvero un quinto, dellintera operazione di quantitative easing in salsa Ue decisa da Mario Draghi. Insomma, i nostri istituti di credito non si sono precipitati a gonfiare i caveu di titoli della Repubblica italiana (che il 28 dicembre tornerà sul mercato offrendo Bot per 9 miliardi). E un motivo cè, e va ricercato in quella regoletta imposta dallEba (lauthority europea delle banche) e risultata palesemente indigesta alle banche tricolori, in base alla quale detenere i bond dei Paesi più stressati sotto il profilo del debito equivale a un fattore di rischio. Da coprire con unadeguata ricapitalizzazione. Dunque: più Btp ci sono in pancia, più aumenta la necessità di ritoccare verso lalto i coefficienti patrimoniali. Più probabile, quindi, un parcheggio dei prestiti nelle casseforti delle banche. Anche se la speranza è che vengano invece messi a disposizione delle imprese.
Dagli Usa arrivano intanto segnali di ripresa. Calano i sussidi di disoccupazione, ledilizia sembra in recupero e la fiducia risale. La correzione al ribasso del Pil del terzo trimestre (da +2 a +1,8%) non ha così fatto danni sui mercati.
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