Borse, ora arriva la paura del default Usa

L’accordo europeo per la Grecia - che ha un debito di 450 miliardi con un Pil di 300 ed ha bisogno di 150 miliardi per finanziare i nuovi debiti e di 20 per quelli in scadenza - fa parte di un quadro generale destinato a dare stabilità agli Stati dell’Eurozona. Ciò purché quelli maggiormente indebitati nel frattempo si aiutino da sé.
Il Fesf, Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria, ha una dotazione di 440 miliardi che basta appena per la parte che gli viene assegnata in questo piano. Essa consiste nel nuovo prestito di 109 miliardi e nell’acquisto sul mercato di titoli del debito greco per sostenerne le quotazioni. Si calcola che il Fesf avrebbe bisogno di mille miliardi se dovesse servire a salvare stati come Spagna e Italia. Il Fesf è finanziato dagli Stati membri che ne hanno costituito il capitale. L'Italia vi contribuisce con il 17,5%. Non potrebbe certo dare 157 miliardi al Fesf ed è escluso che la Germania che ha una quota doppia dell'Italia ne dia 230. Quindi il Fesf, per aumentare il suo potenziale, deve indebitarsi sul mercato. E avrà poi bisogno di sostegno da parte della Bce in caso di necessità. Ma questa non può stampare euro a piacere se vuole essere seria. Quindi il Fesf non arriverà a mille miliardi. E la cifra a cui salirà dipenderà dalla decisione della Bce di sorreggere questo strumento collaterale.
Il presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet ha firmato l’accordo europeo con l’aria di chi lo subisce. Spetterà al nuovo presidente Mario Draghi di concordare con Angela Merkel e gli altri capi di governo le articolazioni del nuovo piano che, per la parte di competenza delle banche, nasce dal suo consiglio. Questi soggetti, tramite lo Institute of International Finance (la loro associazione), si sono impegnati a scambiare 150 miliardi di titoli pubblici greci da qui al 2020 con altri a lunga scadenza, mediante quattro diverse opzioni di «roll over», cioè riscadenzamento. La prima consiste nello scambio alla pari di titoli pubblici esistenti con nuovi titoli greci a 30 anni, a tasso da definire, garantiti da titoli tripla A e a tasso zero emessi dal Fesf; la seconda consiste nello scambio alla pari con titoli greci che vengono in scadenza, con analoghe garanzie; la terza e la quarta opzione consistono nello scambio fra titoli greci in essere scontati all'80% e nuovi titoli greci a 30 e 15 anni, con tasso di interesse maggiore, anche essi con collaterale in titoli Fesf a tasso zero.
Come si nota, in questo modo le banche riscadenzano a lungo termine i titoli greci, ma si garantiscono tramite il Fesf, che non ha bisogno di raccogliere tutto il denaro equivalente ai titoli che emette, perché sono a tasso zero. Lo schema è ingegnoso, ma ovviamente si regge sia sul fatto che il soggetto a cui si darà la garanzia riuscirà, almeno in gran parte, a onorare i suoi debiti, sia sulla sicurezza che il garante ha spalle abbastanza robuste per fare questa assistenza, sia sulla convinzione che le banche hanno abbastanza mezzi per comprare i titoli del debito pubblico in questione. Nessuno dei tre soggetti - Fesf, Bce e banche - può fare il «cireneo» che porta la croce per tutti. E tutti e tre insieme non possono certo sostituirsi agli Stati che non mettono la casa in ordine.


La metafora di Tremonti per cui sul Titanic non si salvano neanche i passeggeri di prima classe, per cui sarebbe dovere anche di Germania e Francia aiutare la nave comune mediante il Fesf, purtroppo è fuorviante. La vera metafora è che se un nuotatore robusto cerca di salvare troppi naufraghi che non sanno nuotare e che si dibattono nel mare in burrasca, rischia di affogare con loro per lo sforzo.

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