«Borse, il rischio è l’asse Londra-New York»

A novembre partirà la sfida a Deutsche Börse sui future

Angelo Allegri

da Milano

«La proposta italiana per un’alleanza a tre fra Euronext, Deutsche Börse e Piazza Affari? Per il momento non c’è. Esiste una proposta tedesca. Il consiglio di Euronext l’ha già esaminata e dato un giudizio. Ora la prima scadenza è l’assemblea dei soci, all’inizio di dicembre, e se le cose non cambiano, non mi sembra che ci sia l’intenzione di tornarci sopra». Gianluca Garbi, 36 anni a giorni, è il numero uno di Mts, il più grande mercato di titoli di stato del mondo. La sua società è controllata da una holding in cui Euronext ha il 51% e Borsa italiana il 49 per cento. Mentre entrambi i suoi azionisti sono impegnati nel risiko dei listini, Mts, insieme a Liffe (il mercato dei derivati di Euronext), sta per lanciare la sfida proprio a Deutsche Börse e al suo mercato dei derivati Eurex: dal 13 novembre offrirà quattro nuovi contratti futures (una sorta di scommessa sull’andamento dei prezzi di un bene) sui titoli di Stato europei. Per Francoforte è una minaccia seria: il contratto sui Bund tedeschi trattato a Francoforte (per il momento unico a livello continentale) garantisce una buona fetta dei profitti della Borsa tedesca.
Dottor Garbi, è una dichiarazione di guerra?
«Direi proprio di no. Oggi chiunque voglia proteggersi dal rischio sul mercato dei titoli di Stato è costretto ad acquistare un contratto sui Bund tedeschi, che quindi vengono a ottenere un trattamento privilegiato. Credo che sia interesse di tutti i Paesi dell’area euro allargare questo vantaggio ad altri Paesi. Per questo lanceremo contratti sui titoli di Stato italiani e francesi, oltre a quelli tedeschi, e un future sull’indice che rappresenta tutti i titoli europei».
Tornando alle possibili nozze tra listini, da tutti gli ambienti istituzionali, nazionali e continentali, sono venuti appelli a una soluzione di tipo europeo che coinvolga Francoforte e lascia alla porta New York.
«Non sono d’accordo. Gli inviti spingevano alla creazione di una federazione di listini europei, un modello che Euronext già segue, ma non riguardavano alleanze con altre Borse internazionali. Piuttosto il commissario McCreevy ha avanzato dubbi sulla creazione di un monopolio a livello europeo. E c’è da chiedersi che cosa accadrebbe se l’alleanza tra Euronext e Nyse non andasse in porto».
E cioè?
«La Borsa Usa si rivolgerebbe a Londra e in prospettiva a Tokio. E allora il continente sarebbe davvero tagliato fuori».
A Londra però il Nasdaq, rivale del Nyse, ha il 25 per cento.
«Il Nasdaq ha il 25,1%, il che gli garantisce il diritto di veto in caso di offerta che coinvolga scambi azionari, per i quali è richiesta una maggioranza dei tre quarti. Secondo molti analisti il Nasdaq è però troppo indebitato. Per questo c’è chi dubita che abbia la forza di contrastare una offerta in denaro».
Ma il ruolo di Mts in una fusione con il Nyse quale sarebbe?
«La proposta degli americani è chiara: la piattaforma tecnologica sarebbe quella di Euronext, il mercato dei derivati sarebbe il Liffe di Euronext, e Mts diventerebbe il mercato dei titoli di Stato. A quel punto i due terzi del debito mondiale sarebbero trattati da una società con base in Italia. E i titoli di Stato europei sarebbero trattati anche negli Usa».
In ogni caso voi di Mts sembrate presi tra due fuochi: un azionista, Borsa italiana, vuole coinvolgere i tedeschi. L’altro, Euronext, sembra aver escluso l’ipotesi Francoforte. Una posizione imbarazzante.
«Per i conflitti di interesse abbiamo avuto una fortuna: siamo stati i primi a scegliere un sistema di governance dualistica. La legge è del gennaio 2005. Noi ci siamo mossi pochi mesi dopo. Il governo a due ha un merito: contribuisce a “incapsulare” eventuali differenze d’opinione e d’interesse separandole dalla società. Così abbiamo un consiglio di sorveglianza in cui ci sono i rappresentanti degli azionisti che si confrontano tra loro e un management board che si occupa dell’operatività».
Il sistema è stato scelto dal nuovo gruppo Intesa-Sanpaolo. Con una peculiarità: il responsabile operativo, Corrado Passera, non sarà presidente del consiglio di gestione. Non è un’anomalia?
«Non è detto. Il principio è che il management board è fatto di amministratori che dedicano la propria attività alla società. Poi c’è chi è incaricato dell’operatività. Di solito è il presidente, ma può anche non essere così.

Piuttosto c’è una singolarità delle legge italiana. A differenza che in Francia e Germania i componenti il supervisory board possono partecipare, se pure senza diritto di intervento, al managing board. Il dualismo non mi sembra perfetto».

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