Un chiacchierone. Così, dalle intercettazioni della monumentale inchiesta contro la 'ndrangheta in Lombardia, emerge la figura di Vincenzo Mandalari, imprenditore incensurato, considerato dalla Procura il capo del «locale» di Bollate. La disinvoltura con cui Mandalari parlava in auto e in ufficio dei propri affari sporchi ha lasciato stupiti anche gli inquirenti. E pare abbia fatto innervosire diversi suoi coimputati, che si sono ritrovati le intercettazioni di Mandalari tra gli elementi di prova indicati nell'ordinanza di custodia eseguita alla metà di luglio contro centinaia di presunti affiliati ai clan calabresi.
Così quando ci si era resi conto che Mandalari era tra i pochi inquisiti scampati alla cattura, il dubbio aveva iniziato a serpeggiare negli ambienti investigativi: e se l'avessero ammazzato? Se i suoi compari avessero deciso di toglierlo di mezzo per ricompensarlo della sua loquacità? E ogni settimana che passava senza che del boss spuntasse l'ombra, il timore inevitabilmente si rafforzava.
Invece no. Mandalari è vivo e sta anche discretamente bene. Almeno fino a una ventina di giorni fa, quando si è fatto vivo col suo difensore Manuel Gabrielli per confermare dalla latitanza la sua decisione di ricorrere al tribunale della Libertà contro il sequestro di tutti i suoi beni, disposto dal tribunale contemporaneamente i mandati di cattura. Di costituirsi, Mandalari non ha per adesso alcuna intenzione. Ma ritiene ugualmente di avere diritto a riavere indietro la sua roba. O almeno buona parte di essa. Mandalari, accusato di associazione mafiosa e usura, sostiene che al massimo la Procura avrebbe potuto sequestrargli beni per 240mila euro, cioè l'importo al centro dell'imputazione di usura.
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