Milano «Diamoci da fare per le elezioni, ai rapporti tra Pdl e Lega pensiamo dopo». Parola di Umberto Bossi, a Milano per incontrare il ministro della Sanità israeliano, Yakov Litzman, insieme con il competente assessore regionale leghista, Luciano Bresciani.
Il Senatùr è pronto a scendere in piazza a Roma e difende i vertici del Pdl: «Non abbandoneremo Berlusconi, ci saremo. È una cosa assolutamente inaccettabile che il partito più grande del Paese venga escluso dalle elezioni per errori formali. È un casino, un’ingiustizia. Avranno sbagliato, ma un partito così importante come si fa a lasciarlo fuori... Andare al voto così mi pare un modo per minare la democrazia». Vale anche per il legittimo impedimento: «Mi sembra naturale che ci sia. Fra le esigenze del Paese c’è anche quella di avere un presidente del Consiglio che faccia il presidente del Consiglio. Passa tutto quello che il governo decide perché questo è un governo ha i voti e quindi in Aula vince sempre».
Sembra pentito di qualche apprezzamento non proprio delicato riservato ai compilatori delle liste messi fuori gioco dai tribunali, coloro che a caldo aveva chiamato «dilettanti allo sbaraglio». Ma sono arrivate le sentenze del Tar e del Consiglio di Stato e quindi il decreto («lo abbiamo votato perché ha contribuito a chiarire, a dare un’interpretazione semplificante ed equilibrata»). Ma nel Lazio, affonda, «è peggio perché sono stati bloccati da un partito di facinorosi come i radicali».
Bossi sa bene che i destini del Pdl e del Carroccio sono legati e adesso danneggiare uno vuol dire creare problemi anche all’altro, soprattutto in Piemonte, Regione in bilico che l’insistenza delle polemiche lascerebbe definitivamente nelle mani del Pd e di Mercedes Bresso: «Come si fa a dire a un alleato: “Arràngiati”?».
Passa in rassegna le truppe e si lancia in qualche iperbole: «Devo ancora valutare, soppesare bene, perché noi abbiamo una montagna di uomini che a comando rispondono e non siamo come gli altri partiti. La gente ci valuta per quel che siamo e che vogliamo. Sanno che siamo alleati e per questo dobbiamo mantenere l’alleanza».
Esclude slittamenti sulla data del voto («sono contrario al rinvio delle elezioni») e prende di petto la politica dei radicali: «Pannella vuole rinviare le elezioni per presentare nuove liste, ha bisogno di tempo per fare cioè quello che non è riuscito a fare prima, perché il suo partito è inesistente».
Il Senatùr non lesina benemerenze al Carroccio: «Bisogna ammettere che noi leghisti siamo partiti poveri ma controlliamo bene il territorio e siamo bravi e non c’è mai stato un partito che ci proteggesse. Abbiamo dovuto sempre fare tutto da soli». Il comizio serale è a Parabiago, comune del Milanese in cui il Carroccio andrà al primo turno da solo, sfidando il candidato del Pdl così da portare al ballottaggio chi riuscirà a prendere più voti.
La strategia sembra chiara: tentare di fare il botto nelle urne senza creare tensioni con gli alleati, pronti a presentare il conto dopo il voto. Bossi ha già spiegato ciò per cui intende battere i pugni e rivela ai suoi una specie di sogno nel cassetto, ovvero controllare la sanità delle tre grandi regioni del Nord, Lombardia, Veneto e Piemonte, cioè le leve attraverso cui si muove circa l’ottanta per cento del bilancio regionale. «Se vinciamo, possiamo prenderci quel che vogliamo», gli hanno sentito ripetere negli ultimi giorni. Altro settore oggetto del desiderio leghista è l’industria o comunque competenze sulle piccole e medie imprese.
Complimenti anche per il giovane Bossi, candidato nel collegio di Brescia. «Mio figlio Renzo è bravo, ha persino vinto i mondiali di calcio tra i popoli guidando la Padania». Difficile dire se con l’aria che tira ciò basterà a favorirgli una promozione nella giunta di Formigoni come assessore allo Sport. «È giusto che faccia la sua bella gavetta», osserva prudente il papà.
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