Bossi zittisce Maroni: ok ai soldi in Africa

Rissa sfiorata in via Bellerio, militanti e deputati contro l’investimento in Tanzania. Ma il Senatùr difende il tesoriere

Roma - «A maneggiare i soldi bisogna stare attenti..., ma lui ha fatto bene, è un investimento che va bene». Niente da fare, il capo Bossi difende la finanza creativa leghista, quella del tesoriere Francesco Belsito che a fine dicembre ha investito 4,5 milioni di rimborsi pubblici della Lega in un fondo della Tanzania. Mentre Via Bellerio è tempestata di telefonate e sms di militanti che chiedono spiegazioni, e mentre al primo piano il giornale La Padania versa in grave crisi finanziaria, al secondo piano i capi della Lega sono riuniti per parlare del «caso africano», scoperto dal Secolo XIX di Genova.
Imbarazzo generale, presente lo stesso Belsito, ma solo Roberto Maroni ha il coraggio di affrontare il problema: «Dobbiamo convocare un consiglio federale entro gennaio per discutere questa vicenda, bisogna chiarirla, anche perché poi dovremo andare in giro a rispondere ai nostri militanti che non hanno i soldi per tenere aperte le sedi e devono metterci i soldi loro». Bossi ascolta in silenzio. Maroni incalza: «Ho anche saputo che qualche senatore ti dice (rivolto a Bossi, ndr), che voglio fare il capogruppo per gestire i soldi del gruppo, e per fare un mio partito. Digli che se vengo a sapere chi è gli spacco la faccia! Sono uno dei fondatori della Lega, non ho mai messo intasca un centesimo del partito!». Accuse pesantissime, clima da rissa, Maroni va avanti sulla sua linea sulla Tanzania: convocare un federale, che è anche l’organismo che può decidere sanzioni disciplinari. La richiesta non avrà né un sì né un no, ma l’aria che tira si capisce dalle parole di Bossi, che sapeva dell’operazione Tanzania e che la difende come un investimento sensato. Maroni esce dalla riunione senza un vero appoggio tra i colonnelli, e poco dopo il capo comunica che capogruppo alla Camera resterà Reguzzoni (con Bossi che sembra sussurri a Bobo: «Tanto non te l’avrei mai fatto fare...»).
La segreteria politica di via Bellerio è anche un processo a Matteo Salvini, che aveva pubblicamente chiesto chiarimenti sui «fondi negri». Ma basta sentire gli umori dei parlamentari leghisti per capire che la pensano quasi tutti come Maroni e Salvini, stupefatti da questa finanza creativa. Anche perché fatta senza che nessuno fosse al corrente, neppure i due amministratori del partito, Castelli e Stiffoni. Viene anche fatto notare che nello statuto della Lega c’è scritto che le operazioni finanziarie vanno autorizzate prima dal comitato amministrativo del Carroccio. Nessuno invece, a parte il capo, il tesoriere Belsito e forse qualche altro «intimo» del cosiddetto cerchio magico, sapeva. Gli altri l’hanno appreso dai giornali, restandoci di sasso.
Il motivo dello stupore è semplice, come spiega un parlamentare leghista: «I nostri mettono 50 euro dei loro per pagare le bollette delle sezioni locali, si pagheranno gli autobus per venire il 22 a Milano. E noi invece di mettere soldi nel partito li mandiamo in Tanzania?».

Nel clima di veleni leghisti circolano anche fantaipotesi sulla destinazione finale dei soldi emigrati in Africa, e tesi altrettanto fantastiche su chi avrebbe passato la notizia ai giornali (ambienti vicini al Viminale...). Anche qualche battuta, per alleggerire: «Se La Padania va male potremmo spostare la redazione a Zanzibar».

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