Botta Quel Ducale così poco nobile

Confesso di essere rimasto molto sorpreso di fronte alle dichiarazioni del presidente della Fondazione Palazzo Ducale professor Borzani, in relazione alla portata internazionale della mostra su Otto Hoffmann (curata con rigore e intelligenza da Giovanni Battista Martini, in collaborazione con Goethe Institut e Fondazione SanPaolo). Genova dal punto di vista culturale è senz'altro città di bocca buona; tarlata da anni di oscurantismo e pressapochismo, accetta tutto ciò che le si propone e digerisce qualsiasi contenuto senza obiettare. Ma far passare per protagonista del novecento un artista di piccolo cabotaggio come Hoffmann è un'operazione mistificante che va sanzionata con forza. Così si crea ignoranza, non cultura e si confondono le idee (poche) dei poveri genovesi in merito all'arte delle avanguardie.
Infatti il pittore in questione, fu solo uno fra i tanti allievi di Vassilj Kandinskij e Paul Klee al Bauhaus. Dai suoi due principali maestri trasse ispirazione per intraprendere un percorso artistico d'imitazione, che espresse qualche momento di timida originalità solo negli anni '70-'80. Giustamente sconosciuto ai più, il comunista Otto Hoffmann, in fuga dal Nazismo, peregrinò a lungo per l'Europa fino a raggiungere il tiepido e sereno esilio di Pompeiana, paesino della Riviera ligure di Ponente. Non per nulla il comune di Sanremo tra il 2006 e il 2007 aveva manifestato l'intenzione di realizzare una mostra dedicata all'artista. Comunque, già nel maggio del 2001 la galleria Martini & Ronchetti (sempre in collaborazione con il Goethe Institut), propose una personale del tedesco (60 opere), da ritenersi ampiamente esaustiva.
Alla luce di ciò le espressioni d'encomio con cui si è speso il professor Borzani circa l'odierna rassegna allestita a Palazzo Ducale sono decisamente fuorvianti: «Un fiore all'occhiello per la città e per tutta la regione», «Una grande mostra di respiro internazionale che sprovincializza Genova», «Un evento che ci mette all'altezza di altre grandi città europee», «Un artista tra i più interessanti del novecento». Francamente mi risulta impossibile tacere di fronte a queste affermazioni. Chi gestisce la cultura in una grande città dovrebbe esternare con cautela e soprattutto documentarsi. Ben venga la mostra su Hoffmann, che pur facendo eco alla citata personale del 2001, ha un certo pregio documentale grazie alla presenza di tante opere, degli appunti dell'artista, di poche splendide fotografie di Moholy Nagy. Ma non ci si venga a raccontare che è innovativa e che aiuta la nostra città ad erigersi nel panorama europeo; oppure che Hoffmann è stato un protagonista del novecento. Un buon pittore di pochissima originalità e qualche slancio lirico, questo sì, come ce ne sono stati tanti nel secolo breve a traino delle avanguardie. Se pensiamo poi alle migliori mostre che Milano (Personale del grande Edward Hopper) e Roma (Collettiva dei migliori giovani artisti dalla Grande Mela) hanno messo in campo in questi mesi, ci rendiamo conto di quale forza propositiva sia dotata la rassegna del Ducale.


La verità è che si tratta di un evento di portata culturale assai limitata, degno di una città sempre più ridotta al rango di provinciale, ancora una volta incapace di dire la sua e di calamitare l'attenzione del paese; e che rivela scarsa conoscenza dell'arte novecentesca da parte di chi conduce la Fondazione.

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