Botte e insulti al ghanese, 10 vigili indagati

Emmanuel Bonsu non è si inventato niente, per il momento sta avendo ragione lui e non la polizia municipale di Parma. Sono otto i vigili urbani indagati, più due donne: l’ispettrice e il commissario capo, accusati per il pestaggio del ghanese di 22 anni scambiato per il palo di uno spacciatore palestinese, un mese e mezzo fa. Cinque i reati ipotizzati: percosse aggravate, calunnia, ingiuria, falso ideologico e materiale, violazione dei doveri d'ufficio. Testimoni confermano le botte nel corso dell’operazione antidroga al parco ex Eridania, quando agenti in borghese non gli mostrarono il tesserino di riconoscimento, durante il trasporto in macchina, nonostante fosse ammanettato, e persino al comando. I vigili avevano parlato di fermo movimentato, negando di avere mai picchiato Bonus. In un primo momento la comandante della municipale, Emma Monguidi, poi avvicendata, aveva giustificato le lesioni con una sua caduta accidentale: «Ha battuto l'occhio sul cordolo del marciapiede».
Nel successivo comunicato stampa del Comune di Parma, si parlò di fuga: «Si divincolò due volte dagli agenti che lo avevano raggiunto, ne nacque una colluttazione con due agenti feriti». Uno degli indagati ha poi ammesso: «Forse l’ho colpito involontariamente».
«Si riparava dai colpi - hanno dichiarato testimoni -, senza reagire». Un vigile gli avrebbe puntato la pistola contro, un altro sferrato un pugno sul fianco mentre veniva condotto verso l’auto di servizio. Due gli insulti razzisti gravissimi che sarebbero stato pronunciati da alcuni vigili, durante le 4 ore di interrogatorio: negro e scimmia.
Per la procura di Parma, le violenze, verbali e fisiche, servivano a fargli confessare «un reato mai commesso», appunto l’appoggio a un pusher. «Contro di te abbiamo prove», dissero fra l'altro. Falso.
«Sono innocente», eppure continuavano con «calci, pugni e schiaffi - è scritto nei documenti della magistratura - mentre veniva rinchiuso nella cella». «Fatto spogliare e mobbizzato con una vessazione da caserma, da film: nudo, fu costretto a ripetuti piegamenti.
Nessuno comunicò all’autorità giudiziaria l’interrogatorio di un fermato, un agente con un modulo per l'autocertificazione in mano gli intimò di firmare: «Anche se fosse stata la sua condanna a morte».
Gli inquirenti sono convinti che i dieci indagati, ai vari livelli di responsabilità, abbiano cercato di coprire l’errore e chi lo aveva commesso. I vigili si erano insospettivi perché Emmanuel Bonsu Foster telefonava e faceva gesti in direzione del pusher poi arrestato, lui ha sempre negato.
L’analisi dei tabulati telefonici e le dichiarazioni del pusher mediorientale gli danno ragione: non ha mai avuto contatti con il mondo della droga, né aveva mai visto prima lo spacciatore, arrivato dalla Francia il giorno prima.
Il ventiduenne sostiene di essere uscito dal comando con una busta del Comune dalla scritta «Emanuel negro», la perizia calligrafica potrebbe stabilire chi ha scritto quella frase.

Lui l'ha chiesta più volte per allontanare i sospetti da sé.
Intanto sono già stati trasferiti ad altro incarico, all'ufficio tecnico, si occupano delle multe redatte in base agli autovelox. Lì non potranno certo farsi prendere la mano dalla loro irruenza.

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