Bowery, travestimenti a regola d’arte

Il celebre protagonista della scena inglese degli anni Settanta rivive nelle fotografie di Annie Leibovitz e Fergus Greer

Fedora Franzè

Ha appena preso il via una nuova iniziativa espositiva del Contemporary Arts Programme della British School di Roma; questa volta ne è protagonista un personaggio mitico della «club culture» della Londra degli anni Ottanta e Novanta, Leigh Bowery. Parlare di travestitismo rischia di ridurre a fenomeno di costume qualcosa che invece contiene in sé tutti gli aspetti, etimologici e d’uso, del termine: Bowery si traveste con la disinvoltura di un bambino, grassoccio ed elastico come un neonato, usa il suo corpo di gommapiuma, leggero nonostante l’abbondanza, per giocare alla mamma, alle signore, a Lolita. Accanto a questa domestica manipolazione di cose, corpo, identità, mostra l’anima punk: la tintura nera con cui fa del viso una maschera, i piercing, i collari rigidi a contrasto con la nudità totale del resto, l’applicazione dolorosa di mollette e spille, trasformando la sofferenza in pubblico divertimento, restando dignitoso anche se buffo e crudele. Si racconta - Bowery è morto nel ’94 e la leggenda è già fiorita - che giungesse dalla nativa Australia con solo una valigia e la macchina da cucire. Il suo trasgressivo estro artistico-sartoriale si manifesta negli ipertrofici costumi con cui si esibisce e posa per fotografi come Annie Leibovitz o Fergus Greer. La prima sala espone alcuni di quei ritratti fotografici, in cui appare sempre in equilibrio su alti zatteroni-calzino, trasfigurato da imbottiture, garze, bende, vestito d’una produzione d’alta sartoria d’abiti ipercolorati, scintillanti di paillettes, o in calzamaglie di tinte tenui che ricordano i bimbi inflazionati della Geddes, salvo poi esplodere in appuntiti seni fantascientifici. Alcuni televisori, lungo il percorso espositivo e il grande schermo nella sala che lo conclude, mostrano le riprese di performance e video-clip, delle serate in cui si è esibito, spesso assieme alla moglie Nicola Bateman, con cui fondò il gruppo musicale dei Minty. Amico e collaboratore di musicisti come Boy George, di registi come John Maybury, vicino al movimento New Romantic, Leigh Bowery è stato una personalità versatile (stilista, performer, musicista) ma autonoma, capace di attirare su di sé l’attenzione e il favore della scena underground londinese, divenendone un simbolo. Lucian Freud lo ha voluto come modello, come testimoniano le fotografie scattate nello studio del pittore da Bruce Bernard, in cui appaiono le tele ormai ultimate a fianco di Bowery ancora in posa. Alcune belle incisioni che ne ritraggono il volto gli restituiscono una fisionomia non alterata.

I vestiti luccicanti, le foto di grandi dimensioni, i video che producono immagini e diffondono suono, i ritagli di riviste, tutto il materiale raccolto documenta con vivezza una realtà tanto chiassosa quanto, per molti, lontana e anche per questo imperdibile. Fino al 6 giugno. The British School at Rome Via Gramsci, 61 Orario: lunedì-sabato 16.00-19.30 Ingresso libero. Domani alle 21 proiezione del film di Charles Atlas «The Legend of Leigh Bowery».

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