Bpi ospita Bankitalia e poi parte con le alleanze

Paolo Stefanato

da Milano

La giornata della svolta sarà mercoledì: giorno in cui si riunirà, a Lodi, l’ultimo cda prima dell’estate della Banca popolare italiana, del quale saranno ospiti i funzionari della Banca d’Italia che illustreranno la relazione vergata dopo le ispezioni alla banca. Se a questo punto il gruppo - anche alla luce delle operazioni varate ieri e dei consigli degli advisor - otterrà il «placet» della Vigilanza (e non dovrebbero esserci sorprese), allora si apriranno ufficialmente le danze per il suo futuro: sarà, insomma, il giorno del via libera. Il gioco di approcci, corteggiamenti, lusinghe e riottosità durerà almeno tutto agosto. Da settembre si passerà a qualcosa di più consistente.
Tra i nomi fatti finora (Deutsche Bank, Popolare di Verona e Novara, Societé Générale, Fortis), quello della Popolare di Milano spicca per concretezza. Ma - fanno notare ambienti lodigiani - la Bpi vale di più (6,2 miliardi di capitalizzazione contro i 4,2 di Bpm), è più estesa (1.000 sportelli contro 698 di Bpm), è più ricca (47 miliardi di totale attivo contro i 37 di Bpm). La conseguenza è ovvia: «Se Mazzotta crede di venire a Lodi da conquistatore, sarà respinto malamente. Diverso se per entrambi i soggetti ci sarà dignità di ruoli...».
Ieri i 400 soci riuniti in assemblea, approvando l’incorporazione delle controllate Reti bancarie e Bipielle investimenti (5 a una e 6 a una i rapporti di concambio con Bpi) hanno dato l’ultima spallata ai modelli dell’epoca Fiorani. Il gruppo era l’unico del mondo del credito (perdipiù popolare) a essere rappresentato in Borsa da tre società: l’obiettivo di allora, in una logica espansiva, era di avere a disposizione delle subholding per compiere acquisizioni carta contro carta senza toccare la capogruppo. Oggi che gli obiettivi sono il consolidamento e - soprattutto - un nuovo afflato di nitore e trasparenza, ridare alla Popolare una sua «unità» assume anche un significato simbolico. Con queste fusioni sono stati dunque realizzati i due principali punti del piano industriale: l’altro era l’aumento di capitale da 730 milioni che è stato, peraltro, contestato in assemblea: un socio ha insinuato che l'obiettivo fosse quello di coprire nuovi rischi. «I rischi sono ancora qui ma non sono aumentati» ha risposto l’ad Divo Gronchi (a bilancio 2005 appaiono accantonamenti pari complessivamente a un miliardo di euro).
Quanto alle prospettive dell'esercizio, il piano prevede a fine anno profitti per 200 milioni, e il direttore generale Franco Baronio ha confermato: «Siamo in linea con le previsioni». Il primo trimestre si era chiuso con un utile netto di 51,7 milioni (più 71,2%) e anche nei mesi successivi si sono registrati «forti segnali di ripresa». Nessuna novità sulle partecipazioni.

Rcs, almeno fino a quando i corsi di Borsa non miglioreranno, è probabile resti in portafoglio. Prima di decidere cosa fare della quota di Hopa, Bpi aspetta invece che si concluda il lavoro degli advisor per il nuovo piano industriale.

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