Bpi, prelievi fantasma Botta e risposta tra Fiorani e Gronchi

da Lodi

Un’indagine chiusa ma, contemporaneamente, due verità personali, una contro l’altra: quelle di Divo Gronchi, attuale presidente del consiglio di gestione del Banco Popolare, e Gianpiero Fiorani, ex ad di Bpi. Istruttoria terminata, per la procura di Lucca, su quella che fu soprannominata dagli inquirenti operazione «Manolesta», firmata dal procuratore capo della Repubblica Giuseppe Quattrocchi e dal sostituto procuratore Domenico Manzione. Oggetto dell’indagine i «prelievi», di importi diversificati, denunciati dai clienti, nel periodo del Natale 2005, alla Cassa di Risparmio di Lucca; per chi si accorgeva dell’accaduto, invece, arrivavano nell’immediato scuse e promesse di risarcimento poi mantenute. Ebbene, secondo la Procura sarebbero circa 50 i milioni di euro passati dai singoli conti dei correntisti alla banca toscana del gruppo Bpi.
Interpellati ieri dal Giornale, Fiorani e Gronchi hanno ricostruito l’accaduto in modo opposto. L’ex banchiere lodigiano ha contestato innanzitutto quanto emerso dall’istruttoria. Le indagini, condotte dal nucleo di Polizia tributaria, rivelerebbero che in questa operazione non ci sarebbe stata la decisione dei dirigenti della Cassa di Risparmio di Lucca e che i maestri d’orchestra sarebbero stati lo stesso Fiorani e gli allora amministratori di Bpi. Insomma, il gran numero di prelievi ritenuti indebiti sarebbe decollato per decisioni dall’alto. Dal quartier generale di Lodi. Alberto Varetti, numero uno dell’istituto toscano, avrebbe confermato agli inquirenti, fornendo prove, che la sua banca sarebbe stata istruita sulla linea di condotta da tenere solo a giochi fatti. Di tutt’altro avviso Fiorani: «È stato esattamente il contrario. Ad agire sono stati i direttori della banca toscana nell’esercizio delle loro competenze. Nell’ambito della loro autonomia gestionale», ha rilevato l’ex banchiere aggiungendo, riguardo a quei prelievi, che «si è trattato di spese di conto previste dal tariffario».
Questa tesi è stata però smentita da Gronchi: «Se si fosse trattato di spese di tenuta conto, quindi dovute all’istituto di credito, non avremmo restituito nulla. Abbiamo trovato prelievi sotto i nomi più diversi. Denominazioni diversificate di cliente in cliente. E intanto i correntisti chiedevano i risarcimenti». La restituzione di quei prelievi è stata decisa dalla capogruppo il 24 gennaio 2006, due mesi dopo l’arresto di Fiorani e la nomina dei nuovi vertici: un anno dopo l’operazione tanto contestata. «Lo abbiamo fatto anche per cercare di dare una nuova immagine della banca. Per far capire che noi intendevamo voltare pagina con la nuova gestione.

Ma, comunque, dare torto ai clienti non si sarebbe potuto», ha concluso Gronchi. E per i prossimi giorni è già in arrivo, da Pisa, una chiusura di indagini fotocopia, con accuse analoghe formulate dal procuratore Enzo Iannelli e dal pm Flavia Alemi.

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