E dire che l’intento di Gordon Brown era di risvegliare il sopito orgoglio britannico e fronteggiare le derive del multiculturalismo e le spinte nazionaliste di Scozia e Galles. E invece il piano del primo ministro, anche se solo agli albori, ha scatenato un putiferio nel Regno Unito (forse poi non così unito) in grado di solleticare l'orgoglio sì, ma quello nazionalista di scozzesi, gallesi e pure nordirlandesi.
Tutto nasce dallo studio sulla britannicità commissionato dal governo inglese all’ex consulente giuridico di Downing street, Lord Goldsmith. I risultati del rapporto - nel Regno Unito l’anticamera delle riforme che l’esecutivo intende introdurre - hanno mostrato una diminuzione del British pride, l’orgoglio britannico. E allora per correre ai ripari, Lord Goldsmith ha lanciato una serie di «raccomandazioni» che hanno provocato, oltre a un acceso dibattito, anche qualche insulto.
Il piano prevede infatti l’introduzione di una giornata per celebrare la «britannicità», una sorta di 4 luglio americano, di 14 luglio francese, una festa nazionale sul modello dell’Australia Day. La proposta è che entri nel calendario inglese in occasione dei Giochi olimpici del 2012. Ma il progetto di riforma non finisce qui: oltre al British Day, Lord Goldsmith ha suggerito che le cerimonie per la cittadinanza, introdotte quattro anni fa, si svolgano non solo nei municipi, ma anche nelle scuole e siano accompagnate da un giuramento degli studenti inglesi alla regina o una solenne promessa di impegno alla nazione. E poi ancora prestiti agevolati per i nuovi immigrati che non possono permettersi corsi di lingua inglese, decurtazioni fiscali per chi si dedica al volontariato. Fino alla vigilia della presentazione del piano, c’era persino la proposta di accorciare l’inno nazionale, limandolo nei passaggi anti-scozzesi e anti-gallesi già in disuso come quel May he sedition hush, and like a torrent rush, rebellious Scots to crush, God save the Queen, cioè «Possa (il Signore) sedare le rivolte. E scorrere come un torrente, schiacciare gli scozzesi ribelli». Eppure, nonostante tutto, proprio l’iniziativa più gradita a scozzesi e gallesi è caduta nel nulla.
Così le proposte sono finite in un turbine di critiche e hanno scatenato una vera e propria rivolta. Scozzesi e gallesi hanno promesso che useranno tutti i poteri concessi loro dalla devolution per bloccare l’iniziativa, specie quel giuramento alla regina che non riescono a digerire e che - dicono i nordirlandesi - considerano «pericoloso e fonte di divisioni». Il premier nazionalista scozzese Alex Salmond, che non perde di vista il suo piano indipendentista, ha definito l’idea una trovata alla Monty Python, a metà fra il ridicolo e il grottesco, una mossa che mostra la «disperazione politica» in cui è piombato Brown, il cui piano di solenne giuramento alla regina - ha riferito un’altra fonte del governo scozzese - non si concretizzerà mai in Scozia, dove la devolution lascia piena autonomia proprio in materia scolastica.
Insomma, quello del premier inglese doveva essere un progetto per l’unità e si è trasformato in una miccia che ha riaperto le ostilità e sta minando ulteriormente l’immagine già deteriorata del primo ministro, affannato a raccogliere consensi nel Paese dove i nazionalismi sono in ascesa e in cui lui stesso è visto da inglesi e gallesi come l’ennesimo scozzese che pretende di governare Inghilterra e Regno Unito e dai nazionalisti scozzesi come il traditore dell’orgoglio alla Braveheart.
Né le scuole né le comunità di immigrati gli hanno dato soddisfazione: «Chiedere ai ragazzi di giurare fedeltà alla regina non li aiuterà a comprendere la natura di questo Paese», ha detto Mohammed Umar, presidente della Ramadan
Foundantion. E poi il segretario generale della Association of School and College Leaders rimprovera a Brown che per ravvivare l’orgoglio inglese ha dovuto prendere in prestito un’idea americana, il top del «non-British».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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