Brescia si colora con tutte le sfumature del giallo

Un guerriero si aggira per Los Angeles, Città degli Angeli caduti. Il suo nome è Philip Marlowe Pi (Private investigator), cavaliere errante nel nome della verità, protetto da un’armatura di flanella grigia e munito di spada calibro 38 Special. Della sempre fallace natura umana, Philip Marlowe conosce intimamente il Dark Side, Lato Oscuro, iniziali maiuscole d’obbligo. Non può e non vuole nascondersi che le speranze non abitano più qui, ammesso e non concesso che vi abbiano mai abitato. È fin troppo consapevole che l’amore è illusione, l’amicizia è tradimento, il legame di sangue è menzogna. Dalla sua parte ha solo una invisibile eppure metallica linea di confine, qualcosa che fin troppo spesso viene dimenticata, calpestata, ignorata. L’etica.
È impossibile scindere questo inarrivabile, immortale eroe dal suo straordinario, doppiamente immortale creatore, Raymond Thornton Chandler (1888-1959), ampiamente riconosciuto come uno dei grandi narratori del XX secolo. Non è quindi un caso che a un festival importante come «A qualcuno piace giallo» di Brescia vengano celebrati i centoventi anni dalla sua nascita. Né è un caso che un recente Meridiano Mondadori ne consacri l’opus in due ampi volumi.
Ben al di là del genere thriller, Raymond Chandler rimane, ed è destinato a rimanere, una delle bussole giroscopiche fondamentali della letteratura a tutto tondo. Partendo dai suoi racconti, navigando lungo le sue sceneggiature per il grande schermo, arrivando ai suoi romanzi, Raymond Chandler continua e sviluppa l’innovativo, spesso provocatorio, percorso tematico iniziato appena pochi anni prima di lui da Dashiell Hammett, l’altro grande di quella narrativa americana tra le due guerre allora chiamata pulp fiction (nessuna connessione con il film omonimo di Quentin Tarantino).
Se Agatha Christie, Edgar Wallce e S. S. Van Dine, citando solamente alcuni dei molti maestri delle due prime decadi del secolo scorso, spingono gli intrighi del genere mystery (scopri chi è l’assassino) ai massimi livelli di raffinatezza e intellettualismo, Dashiell Hammett prima ma anche, e soprattutto, Raymond Chandler poi traghettano quei medesimi intrighi in ciò che sono ancora oggi: un disilluso, cinico, brutale gioco di inganni e crudeltà. Con Hammett e Chandler la durezza delle strade irrompe di prepotenza nel salotto buono della crime story. Ma mentre l’anonimo Continental Op di Hammett non permette pressoché mai di farsi coinvolgere dal Dark Side sotto il profilo personale, il Philip Marlowe di Chandler, per quanto a sua volta acido scrutatore del buio, è sempre, invariabilmente costretto a fare i conti con se stesso. E sempre, invariabilmente si tratta di conti in perdita.
Il grande sonno (The Big Sleep) della ragione domina. Il lungo addio (The Long Good-Bye) non avrà mai fine. Non c’è rimpianto nel commiato di Addio, mia amata (Farewell, my Lovely). Solo la coscienza si ostina a trattenere Philip Marlowe nel regno degli uomini puri. Prima che anche questa tramonti nell’abbraccio dei fantasmi, in un luogo crepuscolare assediato dal deserto del Mojave chiamato Poodle Springs, romanzo che Chandler lasciò incompiuto e che venne concluso solo molti anni dopo da Robert B. Parker.
Da narratore, se non avessi letto l’opera di Chandler, in nessun modo sarei stato in grado di scrivere nessuna delle mie storie. Da traduttore, essere chiamato per i Meridiani Mondadori a riprendere molti dei racconti di un precursore come Chandler è stato al tempo stesso un onore, un test e una sfida. Rispettare la sua forma pressoché unica, riprodurne le atmosfere raffinate, rendere giustizia all’ineccepibile dialogo. I racconti offrono una prospettiva ad alta definizione di come le intuizioni, lo stile, le tematiche di Raymond Chandler si siano progressivamente filtrate e affinate. In termini forse troppo sintetici, questi racconti potrebbero essere visti come genius in self-training (genio in training autogeno). Nei loro protagonisti, nomi insoliti quali Delaguerra, Anglich, DeRuse, Mallory, sono riconoscibili prodromi, componenti, aspetti di quella che alla fine diverrà la struttura profonda di Philip Marlowe. In sostanza, Raymond Chandler autore alla ricerca del suo protagonista conclusivo.
In questa traversata, un duplice onore è stato per me affiancare la grandiosa Laura Grimaldi, uno dei miei mentori nel mondo dell’editoria, autrice di prima grandezza e linguista d’eccezione. È Laura Grimaldi ad avere affrontato l’impresa titanica di ri-tradurre tutti i romanzi di Raymond Chandler, un corpus letterario di migliaia di pagine. Il Meridiano Mondadori in due volumi è preceduto da un ampio saggio critico e analitico dell’ottimo Stefano Tani e corredato da vaste note e dettagliate cronologie. Una prospettiva completa in ogni senso sull’autore e sull’opera.


Non ritengo infine azzardato affermare che, in una forma o nell’altra, in una misura o nell’altra, ogni singolo autore, americano e non, successivo a Chandler che abbia scelto di lavorare nel genere thriller ha attinto, si è ispirato, ha addirittura copiato dall’opera del maestro. Parafrasando le splendidamente ironiche parole finali de Il lungo addio, capolavoro letterario tout court, «il sistema per dire addio a Raymond Chandler non è stato ancora inventato». Non sarà inventato mai.

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