Le briciole lasciate a Milano

Davvero Milano è stata ancora una volta trascurata da questa finanziaria? Guardiamo le cifre, facendo l'unico paragone che regga, quello col trattamento riservato a Roma. Ebbene, stando al documento presentato dal governo, nei prossimi tre anni sui sette colli pioveranno 610 milioni di euro. E a Milano? Appena 30 milioni, un ventesimo. Alla capitale economica del Paese, dunque, lo stato patrigno riserva meno del 5% di quanto elargisce alla prediletta capitale politica. Alla faccia di tutti i «tavoli» e di tutte le leggi speciali per Milano, eventuali e di là da venire. Se il governo ha già deciso quanto è disposto a spendere per la nostra città, a cosa servirà questo mitico «tavolo»? Ma non è una novità, sono decenni che lo Stato riserva a Roma un trattamento francamente sproporzionato anche al suo status reale di capitale, in un Paese nel quale, per ragioni storiche, la capitale non ha un ruolo indiscutibilmente egemone e centrale come, ad esempio, Parigi per la Francia o Londra per la Gran Bretagna. Il fatto però è che Roma è certamente la capitale burocratica, con un apparato amministrativo tra i più anacronisticamente centralisti, di stampo ancora napoleonico e sabaudo - tranne che nell'efficienza, naturalmente. E qui sta il punto. A scrivere materialmente le leggi - soprattutto i regolamenti applicativi, che contano di più delle leggi - non sono i ministri ma dirigenti e funzionari dei ministeri, sulla base di indicazioni «politiche» spesso molto liberamente interpretate. Ed è su di essi che si esercitano le pressioni delle diverse lobby romane, pubbliche e private. La pioggia di denaro che da anni cade su Roma lasciando Milano all'asciutto è dovuta anche a questo andazzo. Al quale non è riuscito a sottrarsi neppure il governo Berlusconi con nove ministri milanesi, oltre al presidente del Consiglio e a decine di parlamentari della maggioranza.

Bisogna finalmente convincersi, perciò, che la nostra città riuscirà ad avere il trattamento che le spetta solo se non sarà più Roma a doverglielo graziosamente elargire; solo se potrà contare sulle proprie forze, autogestendo le proprie risorse grazie ad un reale federalismo fiscale, finanziario e amministrativo.

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