«Bruciato da una trappola della sinistra»

Si è già rituffato nella vita di sempre: lo studio legale a Milano, il Parlamento a Roma. Gaetano Pecorella ha ormai archiviato il capitolo Corte costituzionale: «Non ci andrò, non cambia niente, continuerò le mie attività». Sullo svolgimento della storia però qualche domanda se l’è fatta ed è arrivato ad una conclusione netta: «Mi hanno teso una trappola. Per bruciarmi».
Chi?
«La sinistra. Più di un anno fa, quando la mia candidatura alla Consulta già circolava, ero andato a parlare da Anna Finocchiaro. Lei, chissà come, aveva ricevuto le carte sul fascicolo bresciano e io le avevo detto la verità: questa storia non poggia su nulla ed è destinata a finire su un binario morto. Quindi tutto mi pare chiaro».
Che cosa?
«Nei giorni scorsi il Pdl dà la disponibilità a votare Leoluca Orlando alla Vigilanza. A questo punto Veltroni chiede al centrodestra di indicare il proprio candidato per la Consulta. E annuncia: “Lo voteremo”».
Il suo nome diventa ufficiale?
«Esatto. Ma anche prima si sapeva che ero io. E anche prima si sapeva che esisteva quel procedimento».
Però a quel punto, la sinistra dice no. Perché?
«Non hanno rispettato la parola data. Hanno studiato una trappola per bruciarmi. Forse anche per indebolire Orlando, sgradito a una parte della sinistra».
Quante volte l’hanno interrogata a Brescia?
«Nemmeno una in sette anni. E neppure mi hanno mai inviato un avviso di garanzia».
Però la Procura di Brescia ha chiesto il suo rinvio a giudizio. Si può immaginare un giudice della Consulta sotto processo?
«Un attimo. A febbraio, quando finalmente questa storia senza capo né coda è arrivata davanti a un gip, il giudice si è subito dichiarato incompetente e ha spedito tutto a Milano. La richiesta di rinvio a giudizio è stata annullata e il procedimento è tornato nella fase delle indagini preliminari. Solo che ci sono voluti altri otto mesi perché le carte arrivassero a Milano, dove infine sono riemerse giovedì. E ieri il mio legale ha presentato richiesta di archiviazione».
D’accordo, ma di cosa l’accusano?
«Tutto ruota intorno alle dichiarazioni di Martino Siciliano, un pentito dell’ultradestra che ha detto tutto e il contrario di tutto. Un pentito che aveva bisogno costante di soldi e che cercava attraverso i miei collaboratori un contatto con Delfo Zorzi, di cui sono stato difensore per Piazza Fontana. Un giorno io dico al suo avvocato: “Basta, Siciliano deve smetterla di tormentare gli avvocati del mio studio”. Questo è quel che ho fatto. Quel che so è che poi un confidente dei carabinieri lo aggancia e gli dice: “Dobbiamo incastrare Pecorella”».
In concreto?
«I tre difensori di Zorzi sono finiti sotto inchiesta per favoreggiamento. Ma gli altri due, Ludovico Mangiarotti e Antonio Franchini, sono già stati assolti in tribunale, in appello e in Cassazione. La mia posizione, invece, è stata congelata. Non è successo più nulla. Ah no, intanto hanno assolto anche Zorzi per la strage».
Lei è l’avvocato del Cavaliere.
«L’avvocato Giovanni Maria Flick, oggi alla Consulta, è stato ministro e consulente di Prodi. Le regole valgono solo per la destra? E poi non mi occupo più dei processi del Cavaliere da due anni».
A sinistra le avranno preparato una trappola, ma anche a destra sono mancati dei voti. Quanti?
«Col voto segreto fiorisce il gioco delle interpretazioni: si dice che a sinistra io abbia preso una trentina di voti e ne abbia persi altrettanti a destra».
Chi l’ha tradita?
«Non lo so. Qualcuno sperava di andare alla Consulta al mio posto».
Chi?
«Non lo so. Però al momento del voto si coagulano ambizioni, antipatie, forse chiusure ideologiche per il mio garantismo. Poi c’è un altro aspetto».
Quale?
«Alcuni deputati erano in missione».
Che dovevano fare? Rientrare?
«Sì. Io sono arrivato a 441 voti, col quorum a 571; ne avessi presi di più la mia candidatura sarebbe diventata irrinunciabile. Così no, mi hanno congedato con tante belle parole».
È amareggiato?
«Certo non farò come quelli che accusano il proprio partito e bussano altrove. Pazienza. Ho altro da fare».
Al suo posto viene lanciato Giuseppe Frigo.
«Per molti aspetti è un mio clone: è avvocato, è stato presidente dei penalisti italiani, è professore universitario».


La sinistra non ha ammainato la bandiera di Orlando.
«La sinistra non mantiene la parola data. Veltroni ha rotto con Di Pietro, poi ha ricucito. Vedrà, tortuoso com’è, romperà di nuovo dopo la manifestazione del 25 ottobre».

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