Brunetta studia da leghista: «Napoli cancro etico e sociale»

nostro inviato a Gubbio

«Se non avessimo la Calabria, la conurbazione Napoli-Caserta, o meglio se queste zone avessero gli stessi standard del resto del Paese, l’Italia sarebbe il primo Paese in Europa». Renato Brunetta è forse il ministro meno leghista, anche a causa di qualche «problemino di tipo locale», come ammette lui stesso ripensando alle schermaglie con il partito di Bossi sul Veneto e su Venezia. Ma alla Scuola di Gubbio usa argomenti molto «padani». La motivazione è spiegare quanto il federalismo sia necessario e l’intento non è tanto demonizzare il meridione e i meridionali. Anzi, quando dice cosa servirebbe per rilanciare l’immagine del governo del fare, propone di organizzare, oltre alla manifestazione di Milano, una o più iniziative del Pdl al Sud.
A Brunetta preme semmai mettere in evidenza un sistema malato ben rappresentato dalla «conurbazione» Napoli-Caserta che è «un cancro sociale e culturale. Un cancro etico, dove lo Stato non c’è, non c’è la politica, non c’è la società». Per dare un’idea, racconta di quando si tenne il primo consiglio dei ministri del governo a Napoli, tutto dedicato all’emergenza rifiuti in Campania. «La città era vuota. Qualcuno agli angoli delle strade ci faceva il segno con il dito», dice alzando il medio per mostre alla platea di militanti e quadri Pdl quale fosse il messaggio dei napoletani ai ministri appena insediati. «Gli intellettuali napoletani disquisivano se il termovalorizzatore di Acerra fosse idoneo sì o no. E stavano con la merda sopra i capelli». Mi ricordo «il freddo morale psicologico ambientale di quella giornata. Me lo ricordo. Ed è il segno più tragico, forse più dei mucchi di spazzatura per le strade, di una società, di una cultura e di una classe dirigente se non morte, tramortite».
La soluzione per Brunetta è il federalismo. «È la grande strategia di liberazione, per tutto il Sud». Se fallisce, «c’è la spaccatura del Paese». Se il governo cadesse, tutte le riforme si interromperebbero; «vincerebbero i fannulloni, lo sperpero nella sanità, vincerebbe la Fiom. Nella magistratura vincerebbe il peggior giustizialismo, il partito del deficit spending. Si metterebbero insieme i vari conservatorismi consapevoli e inconsapevoli che finora abbiamo distrutto».
E questo è anche l’appello che Brunetta rivolge ai finiani. Se escono, si renderanno responsabili del ritorno della vecchia politica, se restano possono dare un contributo al governo nel fare le riforme, bilanciando certi «conservatorismi» che il ministro vede affiorare anche nella maggioranza, ad esempio nella Lega quando si è trattato di abolire le Province. Il responsabile della Pubblica amministrazione arriva a dire che «non si sente di negare in maniera totalizzante» l’idea dei finiani che il governo sia appiattito sul Carroccio e su Giulio Tremonti. Ma ai futuristi usciti dal Pdl manda a dire che questo è l’ultimo treno per dimostrare che la loro non è solo «ipocrisia strumentale» e che vogliono parlare di merito. «Io con i finiani vorrei verificare punto per punto in Parlamento. Vedere se il loro è un bluff o una seria motivazione. Se la loro è una seria motivazione, dico evviva. Giusto alzare il livello del dibattito politico sul più riforme. Però voglio vedere dove sono i loro più e i loro meno. Se stanno dalla parte dei fannulloni, della spesa improduttiva e del peggior Mezzogiorno si accomodino.

Se la componente finiana si caratterizza come un più, come un catalizzatore riformista, che questo scandalo sia scoppiato potrebbe diventare addirittura un bene. Se invece è il cavallo di troia delle forze peggiori di questo Paese che di volta in volta tornano a galla, allora si imporranno le urne».

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