Prima domanda. È possibile innamorarsi di una città "universalmente nota per i suoi scarsi doni estetici", "d'eccezionale bruttezza", fumigosa, gelida d'inverno, rovente d'estate, piscinina, eternamente indaffarata, caotica quando ci si butta nelle sue strade, riservatissima quando ci si chiude nelle case, "con lo standard di vita più alto ... la città più cara" (detto nel 1966!), con troppe auto, pochi taxi e ancor meno posteggi, i cui abitanti si autocondannano al castigo penale dei "pip", i pranzi in piedi? Risposta: sì, certo.
Seconda domanda. È possibile amare "questa adorabile e orrenda città" più di quanto la adorò incondizionatamente Dino Buzzati? Risposta: molto difficile.
Molto difficile vivere felici da prigionieri in una città come Milano, viverla fino in fondo, in ogni via, in ogni scorcio (una dei suoi preferiti era il vicolo delle Lavandaie), in ogni momento dell'anno, in ogni momento del giorno (addirittura cercò di trovare un fascino nel tristissimo giro turistico Milan by night) come fece per tutta la vita Dino Buzzati, un grande milanese venuto dalle Dolomiti, che già a quattordici anni studiava al liceo classico Parini e poi, se non per il lavoro giornalistico e le vacanze in montagna, da qui non si mosse mai, fino alla morte, a 66 anni, nella clinica "La Madonnina", da cui, all'alba del 28 gennaio 1972, partì il reggimento a cui era destino si accodasse. Milano la conobbe così bene - studiandone il passato, cogliendone in tempo reale tutte le trasformazioni e addirittura profetizzandone il futuro (il meraviglioso reportage a puntate Piccole cronache del Duemila, uscito nel 1966...) - da dedicarle articoli di cronaca, elzeviri, poesie, testi per documentari, articoli per riviste e racconti: decine e decine di pezzi, uno più buzzatiano dell'altro, pubblicati fra il 1929 e il '71, soprattutto sul Corriere della sera e il Corriere d'Informazione, che ora sono raccolti, a cura del più buzzatiano dei suoi studiosi, Lorenzo Viganò, nell'antologia Scusi, da che parte per Piazza del Duomo? (Mondadori). Risposta: da qualsiasi parte va bene, perché a Milano, prima o poi, si arriva sempre lì.
Il Duomo (che in un suo celebre dipinto reinterpretò - lui, centauro mezzo cittadino e mezzo montanaro - in chiave dolomitica), il centro e la periferia (che qui sono sempre state tanto vicine geograficamente quanto lontane socialmente), la Milano fascista e quella della Ricostruzione, quella delle bombe e quella del Boom, quella della cultura e quella degli imprenditori, quella delle case di ringhiera e quella dei grattacieli, quella dei "cretini al semaforo" e senza posti dove parcheggiare (magnifico il racconto Il problema dei posteggi scritto per Quattroruote nel marzo 1961) e quella che iniziava a cinesizzarsi (da leggere il pezzo Ti piace la marosta? in cui, inviato dal suo giornale in via Fabio Filzi 2, racconta l'inaugurazione del primo ristorante cinese in città, anno del dragone 1962). E quella della Casa della Fontana, in viale Vittorio Veneto, di fronte ai Giardini di Porta Venezia, dove visse l'ultima parte della sua vita, e quella di via Solferino, sede del Corriere, redazione che presidiò come il più fedele dei tenenti Drogo.
Cose di Milano che piacevano a Dino Buzzati. Viaggiare per la città sui tranvai, quelli "nuovi striscianti nelle curve come lunghi rettili verdi"; la Fiera campionaria, che adesso non c'è più (purtroppo...
); la Scala, "una delle poche cose veramente belle che sappia ancora offrire la vecchia civiltà dell'Occidente": e segnaliamo la sua cronaca della Prima della Scala del 7 dicembre 1960, un evento memorabile che vide il ritorno trionfale di Maria Callas nel ruolo di Paolina nell'opera Poliuto di Gaetano Donizetti, quando tra palchi e platea c'erano la principessa Grace di Monaco, il principe Ranieri e il gotha del glamour internazionale e "pareva il festival di Sanremo con la regia di Cecil De Mille", altro che il parterre dell'altro giorno; il Ferragosto in città (ci sono due-tre pezzi a tema, uno più bello dell'altro); corso Buenos Aires (la Broadway di Milano, "la sua strada più viva, allegra, provinciale, fantastica, sudamericana, fastosa e irruente"); e anche, chissà perché, la sala d'aspetto del suo dentista, affacciata sul cortile interno di via Gaetano Negri, che tanti anni dopo avrebbe ospitato il Giornale, e che gli ispirò il suo racconto più bello e doloroso, Sette piani.Ah. Poi ci sono le cose di Milano che non piacevano a Dino Buzzati. Nessuna.