Bruxelles smentisce il governo: «Bossi-Fini ok per gli immigrati»

Con Berlusconi premier «l’Italia ha raggiunto livelli tra i più alti per ricongiungimenti familiari, lavoro e asilo»

da Milano

«La legge Bossi-Fini è stata concepita in modo non innocente apposta per produrre lavoro nero e clandestini. Va smantellata», continua a ripetere il ministro di Rifondazione Paolo Ferrero. «Quello degli immigrati irregolari è un problema serio: colpa della legge Bossi-Fini», ha arguito ieri il collega Guardasigilli Clemente Mastella. Ed ecco arrivare da Bruxelles uno studio della Comunità europea che contraddice le sottili argomentazioni della coppia al governo. «Durante la permanenza in carica della coalizione di centrodestra - certifica il rapporto - l’Italia ha raggiunto alcuni fra i più alti livelli di immigrazione legale per ricongiungimenti familiari, lavoro e asilo nella storia del Paese. Da notare il fatto che il numero di imprese totalmente o parzialmente di proprietà di immigrati non comunitari è aumentato del 25% negli ultimi anni».
Il giudizio molto confortante sulle politiche adottate dal governo Berlusconi in materia di integrazione è a disposizione dei detrattori nel documento «Migrant Integration Policy Index», la più vasta ricerca sulla legislazione sull’immigrazione negli Stati dell’Ue. Strumento di analisi comparata messo a punto dal British Council e da un gruppo di esperti della Comunità europea (la Fondazione Ismu è partner italiano), alla seconda edizione dopo la prima rilevazione nel 2004. Già allora l’Italia si era piazzata al nono posto su 15 Paesi per diritti di cittadinanza garantiti e inclusione sociale. Tre anni più tardi, con la legge n° 189 del 2002 a pieno regime nonostante le minacce di modifica avanzate dall’attuale esecutivo, il nostro Paese addirittura migliora le performance registrate in passato. Nella graduatoria generale delle migliori politiche di integrazione in vigore in 28 nazioni sotto osservazione (25 Ue più Norvegia, Svizzera e Canada), infatti, eccoci al settimo posto con il punteggio di 65 su 100. Il primato della Svezia con 88 resta inarrivabile, per carità, ma quello che conta davvero è che ci siamo messi alle spalle Regno Unito, Spagna, Francia, Germania. Tutti Paesi (e governi) che fanno delle rispettive politiche di immigrazione un motivo di orgoglio internazionale.
Nel dettaglio dei parametri in esame, le cose vanno persino meglio per quanto concerne l’accesso dei quasi 2,5 milioni di immigrati al mercato del lavoro (85/100 il «voto» finale). Qui l’Italia è riuscita a creare le opportunità più favorevoli, Stoccolma a parte. Una volta assunti, i lavoratori stranieri godono degli stessi diritti e delle stesse sicurezze dei cittadini italiani ed europei. Molto bene anche sotto il profilo dell’acquisizione dei permessi di soggiorno di lungo periodo e dei ricongiungimenti familiari (terzo posto, punteggio di 79). Dopo aver vissuto legalmente sul territorio per almeno un anno, gli immigrati hanno i requisiti per sponsorizzare alcuni membri della loro famiglia, criteri ritenuti «numerosi, ma accessibili». E poi l’Italia è l’unica ad aver realizzato le pratiche più virtuose nella sfera sia della sicurezza sia dei diritti associati.
Capitolo su cittadinanza e partecipazione politica: 55 punti, decima posizione, luci e ombre. Ideale la condizione delle libertà politiche, «deboli» però i diritti elettorali e netto ritardo rispetto agli altri Paesi (in classifica siamo al ventiduesimo gradino) sui tempi di concessione dello status.

Quanto all’anti-discriminazione, invece, l’Italia raggiunge il risultato più alto nell’applicazione dei princìpi di uguaglianza, sebbene le Pari opportunità siano invitate a fare ulteriori sforzi.
Resta una curiosità: viste le «verità» rivelate a Bruxelles, Ferrero e gli altri parleranno ancora di legge del Diavolo?

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