Centinaia di migliaia di persone hanno festeggiato domenica 6 aprile l’assegnazione a Milano dell’Expo 2015 con la grande «Victory Parade» in stile newyorchese lungo corso Buenos Aires. La scelta di questa strada per festeggiare una conquista importantissima per il futuro della città - invece, ad esempio, della tradizionale piazza Duomo - non è stata dettata solo dalle caratteristiche dell’arteria, l’unica, in effetti, che consente una sfilata tanto ingombrante e spettacolare. «In quella scelta - spiega Roberto Pesenti del comitato Grazie Milano Expo 2015 - c’era anche una precisa intenzione storica e celebrativa: abbiamo voluto così legare l’Expo del 2015 con la prima Esposizione universale ospitata da Milano, quella del 1906». Evento, decisivo per la storia della città ma ignorato dalla maggior parte dei milanesi. Organizzato e presieduto dal senatore Cesare Mangili, futuro presidente della Banca Commerciale Italiana, sancì, grazie anche alla lungimiranza del sindaco Ettore Ponti, la promozione internazionale di Milano - città allora ambiziosa fino alla megalomania - come capitale industriale, economica e commerciale del paese, indicandone il destino e le linee di sviluppo che l’attendevano nel secolo appena iniziato.
L’esposizione interessò principalmente gran parte dell’area di Porta Venezia. Allora corso Buenos Aires si chiamava corso Loreto, perché in fondo, in piena campagna, su quella che era la strada per Venezia, c’era una chiesetta dedicata alla Madonna di Loreto, protettrice degli aviatori: una cappelletta con un ingenuo affresco della «santa casa di Maria» trasportata in volo dagli angeli nella cittadina marchigiana. Sì, corso Loreto proprio come l’attuale congestionatissimo piazzale - dove, all’incirca, si trovava la chiesetta - al quale è stato affidato il compito di conservare quel nome. Un luogo però diventato storicamente e tragicamente noto in tutta Italia il 29 aprile 1945, quando vi furono esposti appesi per i piedi a un distributore di carburante i cadaveri di Benito Mussolini e della sua fedele e innocente compagna Claretta Petacci, fucilati il giorno prima dai partigiani del comandante Valerio a Giulino di Mezzegra, nel Comasco: una scena tanto ripugnante che lo stesso capo della Resistenza Ferruccio Parri la definì «da macelleria messicana».
Quello stradone che nel 1906 da Porta Venezia andava verso la campagna, all’altezza dell’attuale viale Tunisia era scavalcato dal ponte della ferrovia che arrivava alla principale stazione della città - allora Porta Nuova, la Centrale verrà costruita una ventina d’anni dopo - nell’area dell’attuale piazza della Repubblica. Subito dopo l’Expo cambiò nome e divenne corso Buenos Aires. Una scelta, anche questa, legata all’esposizione. I primi paesi ad aderire all’evento furono, infatti, l’Argentina e il Perù, evidentemente anche per effetto della forte emigrazione di quegli anni dal Sud d’Italia verso le Americhe: un fenomeno di dimensioni bibliche, cinque milioni di persone dal 1881 al 1911. Ecco perché, dunque, corso Buenos Aires. Ed ecco perché, lungo il suo tracciato, piazza Lima e piazza Argentina.
Fu perciò la prima Esposizione universale di Milano a segnare il destino di quella strada, non solo nel nome ma anche nel futuro carattere popoloso e dorato di grande via del consumo. Oggi con i suoi 1.600 metri è la più lunga arteria commerciale d’Europa, con un fatturato quotidiano complessivo tra i più alti al mondo, giacché nel suoi negozi entrano ogni giorno almeno 100mila persone. Fu la prima strada di tipo newyorchese in una città dalla struttura urbanistica, dentro la cerchia dei bastioni, ancora sostanzialmente medioevale, se si escludono gli sventramenti voluti da Napolenone (Foro Bonaparte) e prima di quelli che farà i fascismo: 1.600 metri, un miglio americano, un dato di più per associarla alla Terza avenue di New York con le sue centinaia di negozi di ogni genere, teatri, librerie, ristoranti, bar; con la folla in ogni ora del giorno fatta di gente di tutte le classi sociali, dall’uomo d’affari al barbone, dal professionista all’ambulante irregolare, di tutte razze e di tutti colori, dove senti parlare tutte lingue. Come in corso Buenos Aires.
Lungo le direttrici di via Lecco e via Benedetto Marcello sorsero centinaia di abitazioni popolari destinate ai lavoratori delle imprese impegnate nell’Expo e finanziate, fra gli altri dalla «Società edificatrice di case operaie e lavatoi pubblici». La Società Umanitaria, per far fronte all’immigrazione richiamata dai lavori, aveva fatto progettare dall’architetto Luigi Conconi un «bilocale per famiglia operaia», poi presentato all’Expo. L’attuale caserma dei Vigili del Fuoco di Benedetto Marcello fu costruita per ospitare le forze dell'ordine impegnate nella manifestazione. Furono tracciate le linee generali e impostate le lottizzazioni dell’ordinato, ortogonale e simmetrico sviluppo urbanistico delle aree, decine di ettari, ai due lati del corso. Sul quale, nei mesi successivi aprirono i primi negozi: i fratelli Ingegnoli, sementi e piante da giardino, si trasferirono da via Orefici per sistemarsi davanti ad un bel palazzo liberty, con gli orti alle spalle. Tra le prime insegne al neon quella dei Fratelli Branca con la famosa aquila. Il primo artista a trasferirsi in corso Buenos Aires fu Umberto Boccioni, che disegnò anche per l’Expo e andò ad abitare in via Castel Morrone.
«Il Comitato Grazie Milano Expo 2015 - dice Pesenti - diventerà Amici dell’Expo 2015, come un’associazione di cittadini nata per l’esposizione del 1906, che ogni anno fino al 2015 organizzerà una grande festa popolare in corso Buenos Aires». Un legame e una memoria che vale la pena di coltivare.
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