La bufala della sushi-fobia: il pesce non arriva da Tokyo

L’altra sera il ministro alle Politiche agricole Giancarlo Galan ha cenato a base di sushi. E ha gettato acqua sul fuoco all’allarmismo della Ue che già da giorni ha esortato i paesi a verificare le importazioni di alimenti giapponesi a causa dell’alto rischio di emissione di radiazioni. Un allarme che ricorda quelli lanciati dall’Oms per la suina. Che hanno mandato al macero milioni di vaccini e in fumo milioni di euro. Ora è stato preso di mira il pesce del Sol Levante. Ieri, a Malpensa è stato bloccato un carico di ricciole. Il pesce sarà controllato e solo se risulterà senza contaminazione radioattiva sarà rilasciato per la vendita. «Non esistono motivi di particolare allarme - ha detto il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini – ma, su richiesta della Ue, noi teniamo alta la guardia».
Poi Martini ha aggiunto. «Comunque, vista la qualità e la quantità di prodotti alimentari presenti in Italia, non vedo la necessità di utilizzare in questa situazione cibo giapponese». Un modo, insomma, per indurre gli italiani a mangiare nostrano, innanzitutto sardine e acciughe, ma anche tonno rosso. Quello, guarda un po’, che i ristoranti giapponesi utilizzano per fare il sushi. Già, perché d’accordo i controlli, la prevenzione e la profilassi sanitaria per chi sbarca da un aereo proveniente da Tokyo. Ma che c’entra con il salmone e il tonno che mangiano nei ristoranti giapponesi (che poi sono quasi totalmente gestiti da cinesi)? Assolutamente nulla. Queste gustose pietanze sono praticamente nostrane. Il pesce è locale (tonno soprattutto) i salmoni arrivano al massimo dai paesi nordici. Il pericolo è dunque limitatissimo, praticamente «teorico» come ha ammesso il ministero della Salute, anche perché i piatti più famosi della tradizione giapponese - sushi e sashimi - hanno bisogno di prodotti freschissimi. Semmai il problema si pone al contrario. Sono i giapponesi ad aver bisogno del pesce, ora più di prima. Lo sa bene Tonino Giordini, responsabile Coldiretti dell’export del pesce, che in questi giorni drammatici comincia a fare i conti al contrario. «Circa il 70% del nostro tonno rosso finisce in Giappone assieme ad altri lavorati. Ma non importiamo nulla da loro. Questo allarme sushi è davvero fuorviante» ammette il tecnico.
E allora perché questo timore di vedere sulle nostre tavole pesce contaminato? «Probabilmente lo fanno per evitare triangolazioni pericolose dai paesi Ue dove la capacità di controllo è bassa» spiega Giordini alludendo alle nuove new entry dell’Europa dell’est. Ma questo non è il caso dell’Italia che, nell’intero 2010, ha importato cibo dal Giappone per appena 13 milioni di euro (il totale europeo è di 65 milioni), cioè lo 0,03% dell’intero comparto agroalimentare in entrata da altri paesi. Gli arrivi di pesce non hanno superato i 700 mila euro. Le altre importazioni riguardano piante e fiori,( 3 milioni di euro). Mentre ci sono arrivi praticamente irrisori di semi oleosi (1,6 milioni di euro), bevande alcoliche, (1,6), oli vegetali (0,9) , prodotti dolciari (0,9), the (0,3). Dunque, mangiatevi il vostro sushi tranquilli e non permettete che la psicosi rovini le vostre cene etniche. Ma c’è da dire che, per il momento, i ristoratori non sembrano preoccupati.
La catena Wu a Milano non rileva ancora un crollo di presenze. E gli stessi titolari confermano che dal Giappone prenotano solo una salsa piccante, che prossimamente sarà sottoposta a controlli. Le alghe, invece, le acquistano dalla Corea e il pesce «tutto dall’Italia», perché, farlo arrivare anche in parte dal Giappone sarebbe, radiazioni a parte, troppo costoso. Da Milano a Roma: «Tutto come prima – aggiunge Laura Ferrari, responsabile di Zen, nella capitale - nessuna flessione in questi giorni. Il pesce che usiamo è locale, per il resto ci riforniamo da un’azienda di Milano, che certamente seguirà le regole e le misure restrittive, se ce ne saranno».
«Provengono dal Giappone solo i prodotti di nicchia come il the verde e i prodotti in polvere – spiegano al ristorante Kukai di Napoli - e le alghe - aggiunge -, ma ormai le sanno lavorare anche in Cina». Anche Fazio invita gli italiani a stare sereni: «Le misure restrittive sono relative a prodotti di origine animale in particolare il pesce pescato, come crostacei congelati, preparati, farine e caviale, e a prodotti di origine vegetale come salsa di soia, the verde, e alghe. E per tutte queste categorie alimentari «di origine animale e non» scatteranno i controlli ma solo per i prodotti confezionati dopo l’11 marzo.

Ma quando si fa la spesa, è possibile anche fare un controllo fai da te sull’origine del pesce. Basta verificare sul bancone l’etichetta che per legge deve prevedere la zona di pesca e scegliendo la «zona Fao 37» si è sicuri di acquistare un prodotto pescato del Mediterraneo.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica