Gian Marco Chiocci - Mariateresa Conti
Non solo l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro. Non solo il premier Silvio Berlusconi. Le tracce dei «tarocchi» di Massimo Ciancimino, il figlio del defunto sindaco boss di Palermo passato da «icona Antimafia» a galeotto accusato di calunnia pluri-aggravata nei confronti del superpoliziotto coordinatore dei servizi segreti, non sono difficili da trovare. Basta guardare le carte, leggerle tutte, confrontarle. Colpiscono una miriade variegata di personaggi, i «tarocchi», a cominciare dal generale Mario Mori, nel cui processo di Palermo per la mancata cattura, nel 2005, di Bernardo Provenzano, Massimuccio sta riversando da tempo la sua, anzi «le» sue contraddittorie verità. Obiettivo: inchiodare il generale, anticipare a giugno del ’92 (prima della strage di via D’Amelio) i contatti tra il Ros e Vito Ciancimino, la cosiddetta «trattativa». Un dettaglio non da poco: Mori i contatti li ha ammessi, ma dopo la bomba a Borsellino. La sua versione è confermata anche dai verbali di Ciancimino senior. Ma per metterlo sotto accusa la trattativa va anticipata. E Ciancimino jr fa del suo meglio.
Dice, non dice, conferma e si contraddice, il figlio del sindaco boss che è morto e non può smentire. Si contraddice su tutto, il ragazzo, anche sul tema importantissimo del celeberrimo papello (l’elenco di richieste di Totò Riina per fermare le bombe del ’92) che Massimuccio dopo vari tira e molla ha consegnato ai pm. Il controesame di un anno fa al processo Mori, a proposito delle contraddizioni dell’aspirante pentito, è a dir poco illuminante. Ciancimino jr prima sostiene di avere ritirato lui il papello per conto del padre in busta chiusa dal medico dei boss Antonino Cinà; poi dice che il padre lo ebbe dal misterioso signor Franco/Carlo, lo 007 più inafferrabile del mondo visto che si cerca di dargli un nome e un volto da quando Ciancimino jr ha cominciato a parlarne; quindi per non sbagliare lascia intendere che il padre lo ebbe da tutti e due, da Franco/Carlo e pure da Cinà. Insomma, da chi lo ebbe? Massimo si barcamena, parla a raffica, confonde e si confonde. E i misteri restano. Inalterati. Eppure gli indizi che qualcosa non quadra ci sono, basta cercarli. Il principale? Eccolo. Se, come dice Massimo Ciancimino, la trattativa Stato-mafia si avvia tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio - dunque dopo il 23 maggio e prima del 19 luglio del ’92 - e se il «papello», sempre parole sue, risale alla fine di giugno del ’92, come è possibile che tra le richieste di Riina ci sia, testuale, «annullamento decreto legge 41 bis»? Il carcere duro per i mafiosi viene sì inventato in quella terribile estate del ’92, ma dopo l’uccisione di Paolo Borsellino, un mese dopo. Quando si parla di inasprimento del carcere per i mafiosi, prima di quella data, ovunque si fa riferimento al «decreto legge 306» in cui era contenuto un «articolo 90», mai si parla o si fa riferimento al carcere duro chiamandolo «41 bis». Riina, oltre che capomafia, era forse veggente?
Potrebbe già bastare. E invece, di stranezze, ne spuntano parecchie, anche se chi ha indagato non se ne è accorto. Restiamo al «papello». Quando l’ha dato ai magistrati Ciancimino jr ha consegnato anche il ritaglio di un post-it a suo dire appiccicato, scritto dal padre, che recita «SPONTANEAMENTE (tutto maiuscolo) consegnato al colonnello Mario Mori dei Ros». Stessa dicitura identica, compresa delle maiuscole, che compare in un altro manoscritto di don Vito, quello in cui parla della registrazione alla Siae e della consegna a Mori del suo libro Le Mafie. Un «post-it» che diventando «s(post-it)» (se cercate s(post-it) su internet, trovate sul blog di Enrico Tagliaferro la ricostruzione nel dettaglio) diventa un clamoroso falso atto d’accusa a Mori. Un falso-goffo visto che Ciancimino jr ha sempre sostenuto che il papà utilizzava i guanti in lattice per non lasciare tracce sulla riconducibilità dei documenti scottanti (e che fa, poi, lascia un post-it?). L’elenco di «tarocchi» continua con il cosiddetto contropapello, le richieste della mafia «corrette» da Ciancimino senior: dovrebbe risalire al ’92, è effettivamente su carta di quel periodo, anche il toner che l’ha stampato è dei primi anni ’90. Ma sul contropapello c’è una scritta che lo stesso Ciancimino jr ammette di avere fatto nel 2002. Com’è possibile? Papà don Vito, oltre che «grafomane», era, per ammissione dello stesso figlio, un maniaco delle registrazioni. Ma guarda caso, Massimuccio ha conservato tutto del padre (fogli, foglietti, pizzini, post-it) tranne i nastri. Niente registrazioni? Niente identità per Franco/Carlo e nessuna voce di Mori o di altro carabiniere. Oggi, al processo all’ex generale del Ros, il superteste non ci sarà (i pm avevano chiesto invano di sentirlo dopo l’audizione del pentito Brusca, chissà perché).
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