Prima la Serravalle, adesso la Scala. «È pazzesco, una realtà inventata nelluno e nellaltro caso». Il sindaco Gabriele Albertini si sfoga dopo che lingresso della Provincia nel cda della Scala è stato rimandato, collegandolo al pagamento in ununica tranche della quota prevista dal regolamento, e da Palazzo Isimbardi lo stop è stato immediatamente denunciato come lennesima «ripicca» del sindaco contro il presidente della Provincia Filippo Penati. «È assurdo - afferma Albertini -. Siamo lieti che la modifica di legge permetta di aggiungere altri due consiglieri di amministrazione ai sette esistenti nella Fondazione del teatro alla Scala, e tra questi, nel momento in cui le condizioni giuridiche e patrimoniali lo permetteranno, cè la Provincia. Ha già versato un milione seicentomila euro, non ne mancano quindi tantissimi per raggiungere la quota di 5,2 milioni che è prevista dallo statuto per entrare nel cda». Adesso, punzecchia, «ha anche a disposizione ventotto milioni di euro che le arriveranno dal dividendo straordinario della Sea, ma non li vuole, intende impugnare la delibera».
Il sindaco riepiloga i passi che restano da fare: «Se la Provincia versa i due milioni 800mila euro che deve ancora mettere per poter chiudere la partita e promette, come ha già fatto, di versarne 5,4 nei prossimi due anni, ha il titolo giuridico e patrimoniale per entrare nel cda: va in assemblea, si fa votare ed entra nel consiglio senza nessuna polemica. Ovviamente Palazzo Isimbardi avrà diritto a far parte del cda quando avrà pagato quello che deve pagare, come tutti gli altri soci fondatori».
Eppure, insiste Albertini, «perché inventarsi una cosa che non esiste, farla credere come vera. La si vuol far passare come una mia ripicca, un paradosso totale come nellaltro caso della questione Serravalle», quando Penati cioè accusò il sindaco di aver nascosto lanno scorso lofferta ricevuta dal «re» delle autostrade Marcellino Gavio che intendeva acquistare le quote del Comune nella società. «Premesso che Gavio non ha mai detto dieci, bensì otto euro ad azione - precisa Albertini -, ma nel patto di sindacato tra i soci pubblici cera scritto che per tre anni ai sottoscrittori, tra cui Comune e Provincia, era vietato vendere le proprie quote. Quindi non potevo nemmeno iniziare una trattativa con chicchessia per vendere la mia quota, altrimenti mi sarei dimostrato un cialtrone. La buona fede contrattuale esiste anche tra istituzioni, non solo tra venditori e compratori. E invece Penati continua ad accusarmi».
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