Bullismo a scuola, frattura «per scherzo»

Quindici giorni di gesso sotto osservazione. La vittima in classe non ci vuole più tornare

Bullismo a scuola, frattura «per scherzo»

È ora di pranzo all’Istituto Comprensivo «Via delle Alzavole», nei pressi di via Casilina, a un paio di centinaia di metri dal raccordo. È lunedì 19 maggio, un giorno come tanti, uno degli ultimi dell’anno scolastico. Mario (usiamo un nome di fantasia), l’11enne protagonista di questa storia, a un tratto si alza per andare in bagno. La strada da fare è pochissima, le toilette sono accanto la mensa. Il bambino bussa alla prima porta, chiusa, e si sente rispondere che è occupato. Stessa scena sulla soglia della successiva, meglio passare oltre. Al terzo tentativo, però, non c’è una voce che lo invita a provare altrove. C’è invece un compagno di classe che spalanca di colpo la porta. Ci sono calci ravvicinati, due, che si abbattono sulla mano sinistra dell’incredulo ragazzino. Rompendogliela.
Cinque minuti più tardi c’è un telefono che squilla. Ad alzare il ricevitore è Santa, la mamma di Mario. «Venga a scuola signora - dice agitata la maestra - il bambino si è fatto male. Non è nulla di grave, ma venga». I coniugi F. vivono a Zagarolo ma Santa, per puro caso, si trova a casa dei suoi genitori. Che abitano vicino l’istituto «Via delle Alzavole». «E meno male - commenta la madre - visto che nessuno si è preoccupato di accompagnare il ragazzino in ospedale, nonostante la mano stesse diventando sempre più nera. La loro inadempienza è stata grave». Univoca, invece, la diagnosi dei medici del Policlinico Casilino, dove l’11enne è stato subito scortato dalla madre: 15 giorni di gesso e trauma da tenere sotto il controllo. Di episodio di bullismo, però, a scuola è vietato parlare. «Ma quale bullismo, per carità - rimarca il dirigente scolastico, Giuditta Previti - è stato uno scherzo finito male. Il ragazzino bussava con insistenza alle porte e il compagno, uscendo, ha iniziato ad agitare le gambe in aria, finendo per colpirgli fortuitamente la mano». Per due volte. Fatto sta che il padre di Mario, Giosellino F., è andato il giorno dopo a chiedere di persona spiegazioni alla preside e non è stato ricevuto. «Ero impegnata in una riunione importante», spiega lei. «I nostri numeri li hanno, nessuno finora ci ha fatto uno straccio di telefonata. Sono passate due settimane dall’accaduto e da quel giorno nostro figlio a scuola non è più tornato», replicano fermi i genitori.
Decisi ad andare in fondo a questa storia i coniugi F. si sono rifiutati di sottoscrivere il «sinistro assicurativo» standard dell’istituto e hanno sporto denuncia ai carabinieri. «Vogliamo capire perché nostro figlio è stato trattato così, non solo dai compagni. Qualcuno doveva vigilare e non lo ha fatto, è evidente. E la trascuratezza è proseguita anche dopo». Mario, intanto, è rimasto a casa. Nessuno della classe si è fatto vivo per dargli un segnale di solidarietà. A scuola non è voluto più andare perché è sicuro che i compagni si sono schierati contro di lui. Semplicemente per paura.

I genitori sanno anche questo, ma sono altre, assillanti, le domande che gli ronzano in testa: «Ma se non avessero trovato nessuno a casa, davvero non lo avrebbero portato in ospedale? E se non è successo nulla come dicono, perché non hanno spezzato questo silenzio?».

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