«Pagare le donne perché possano occuparsi dei figli a casa? Certo, se loro sono daccordo, ovviamente, e se la stessa possibilità fosse offerta anche agli uomini». Anselma DellOlio, scrittrice e giornalista sensibile a questi temi, è convinta che la proposta inglese possa essere un buon aiuto «per una fascia di mamme in particolare».
Quali donne sarebbero avvantaggiate da un provvedimento del genere?
«Sono certa che si tratti di una buona soluzione per le mamme che svolgono lavori mal pagati, che fanno professioni che non le soddisfano».
Crede che per chi non ha davanti una carriera brillante stare coi figli sia una buona alternativa?
«Sono certa che sarebbe un desiderio di tante donne che non intendono fare carriera perché non hanno davanti prospettive di crescita professionale, svolgono lavori tristi che non le fanno sentire pienamente realizzate».
Ma non si corre così il rischio che le donne tornino indietro, relegate al ruolo casalingo?
«Il rischio non cè se si tratta di una libera scelta. Tra laltro si fa poco o nulla per aiutare le mamme in condizioni più difficili, questo potrebbe essere un passo. I bambini sono importanti e vorrei che le donne venissero incoraggiate a farli. La società che non accoglie i bimbi è una società che sta morendo».
Perché dopo tante conquiste, la questione donne-carriera resta ancora aperta?
«Le cose cominciano a cambiare, ma i passi fatti non sono ancora sufficienti ed è difficile modificare tradizioni così radicate. Ci vogliono incentivi governativi per incoraggiare le aziende ad aiutare le mamme. In alcuni Stati americani, per esempio, ha avuto grande successo un esperimento che consente alle lavoratrici di portare i bebè al lavoro».
Vuole dire asili nido nel luogo di lavoro?
«No, intendo proprio dire che in alcuni uffici governativi è stato concesso in via sperimentale alle donne di portare con loro i bimbi piccoli. Una prova che ha dimostrato che la produttività non è calata e che il morale in ufficio è addirittura migliorato».
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