LAmerica ci ha provato con le buone e il Cremlino se nè infischiato. Ora alza i toni e tenta di smascherare quelli che considera i veri obiettivi di Medvedev. Di certo la crisi è arrivata a uno snodo cruciale. Militarmente è di fatto conclusa: lOssezia del Sud è caduta in mano ai russi e gli spari che risuonano in Abkhazia appaiono meno preoccupanti, considerato che il secondo territorio secessionista è già al 90% fuori dal controllo della Georgia.
E allora il proseguimento delloffensiva militare assumerebbe proporzioni ben più gravi, perché lobiettivo del tank russi diventerebbe la Georgia, uno dei più fedeli alleati dellOccidente. A Tbilisi risiedono centinaia di consiglieri e di esperti americani. Se lArmata rossa dovesse davvero marciare fino alla capitale georgiana, la sfida non sarebbe più solo al presidente Saakashvili, ma allo stesso Bush.
Fermare le truppe di Putin e Medvedev diventa, per lAmerica, un imperativo. La campagna diplomatica inizia di buon mattino, per mano della Casa Bianca, che in un comunicato definisce «sproporzionato e pericoloso lintervento russo», avvertendo che unescalation «rischierebbe di rovinare i rapporti a lungo termine tra Usa e Russia». Washington non usa perifrasi: «Saremmo molto, molto preoccupati se ci fossero azioni al di fuori dellOssezia del Sud e dellAbkhazia».
È il messaggio che il governo di Tbilisi attendeva impazientemente e che risolleva il morale degli altri alleati della regione. Uno su tutti: lUcraina, che, a ruota, minaccia di bloccare le navi russe nel Mar Nero se verranno usate per bombardare i georgiani.
La doppia mossa sembra fare effetto. Il Cremlino ritira nel porto di Novorossijsk le due unità della flotta e nel pomeriggio un suo diplomatico dichiara alla Cnn che il suo Paese «non ha intenzione di invadere la Georgia». Come dire: abbiamo capito. Ma il governo americano non si accontenta e rilancia, presentando al Consiglio di Sicurezza dellOnu una risoluzione in cui condanna fermamente la Russia e la accusa di ostacolare il ritiro delle truppe georgiane dallOssezia del Sud.
Tocca a Mosca reagire e il presidente Medvedev ripete il suo mantra: «Abbiamo soccorso una popolazione vittima di un genocidio, Tbilisi deve ritirarsi senza condizioni». Intanto, però, accetta di trattare. Mentre i ministri degli Esteri dei Ventisette prevedono di riunirsi solo tra qualche giorno, il francese Bernard Kouchner, nelle vesti di presidente di turno della Ue, è arrivato la scorsa notte a Tbilisi, latore di un piano di pace dellUe in tre punti che prevede il rispetto dellintegrità territoriale della Georgia, la cessazione immediata delle ostilità e il ritorno alla situazione precedente linizio dei combattimenti. Oggi sarà a Mosca. Poche ore prima il cancelliere tedesco Angela Merkel era riuscito a mettere per la prima volta in contatto telefonico diretto i capi delle diplomazie di Mosca e Tbilisi. Anche il Papa lancia un accorato appello per la fine delle ostilità.
Ma ormai è chiaro che la questione dellOssezia del Sud è secondaria. In gioco cè il controllo politico e geostrategico della Georgia. In serata Washington riparte allattacco e accusa i russi di voler rovesciare Saakashvili.
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