Busi show: finge di dimettersi dopo l’esclusione

BOTTA E RISPOSTA Lettera della giornalista: «Mollo l’edizione delle 20». E Minzo: «Ci avevo già pensato io»

Roma«Me ne vado!». «Ma dove vai? Sono io che ti ho destinato ad altro incarico». Sembrerebbe una normale querelle tra un impiegato e il capufficio, se non si trattasse dell’ultima puntata della telenovela che contrappone l’inviata pasionaria del Tg1, Maria Luisa Busi, al suo direttore, Augusto Minzolini. Lei annuncia la rinuncia dopo 18 anni al ruolo di primadonna e lo accusa di pilotare il giornale alla catastrofe. Lui la smentisce: stava per essere sostituita e ha fatto una sceneggiata.
Ieri, la soap opera più seguita dalle comari pettegole del mondo dei media (ovviamente dopo «Beautiful» Annozero) si è arricchita di un nuovo colpo di scena. La bacheca di redazione del Tg1 è stata foderata dalle quattro cartelle dense di pathos con le quali la conduttrice annunciava l’addio dall’edizione principale. «Caro direttore, ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice del Tg1 delle 20, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo mio compito senza pregiudizio per le mie convinzioni», esordisce la lettera inviata a Minzolini e ai vertici Rai. Poi i toni si fanno più melodrammatici. «Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità». Che, tradotto per il volgo comune, suona più o meno come «Caro direttore, non sei capace di fare il tuo mestiere». La Busi avrebbe potuto finire qui, ma ha proseguito con un almanacco illustrato del buon giornalismo (secondo se medesima). «Questo era il giornale delle culture diverse, delle idee diverse» e invece oggi «l’informazione del Tg1 è parziale e di parte».
Poi via alla retorica. «Dov’è il Paese reale?», domanda l’anchorwoman. «Dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Dove sono i giovani con un futuro peggiore dei padri? Che fine hanno fatto le centinaia di aziende che chiudono?». Domande buone per una campagna elettorale del Pd o dell’Idv. Perché, racconta la Busi, «io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica, ma nel Tg1 delle 20 diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta con il loro grande progetto di digitalizzazione della scuola».
In cauda venenum. Dopo l’angolo «Signora mia», la conduttrice cita Gianfranco Fini e afferma che «dissentire non è tradire». Si scaglia contro il richiamo ricevuto dal direttore per un’intervista a Repubblica nella quale ne censurava l’operato. Infine, giacché le «schiene dritte» di professione non possono non attaccare l’avversario, si imputa a Minzolini il fatto di non averla protetta dalla «violenta campagna diffamatoria del Giornale, Libero e Panorama», rei di averne criticato la produttività.
Tutto qui? Nient’affatto. «Non condivido nemmeno una riga della sua lettera: il mio telegiornale non è mai stato di parte», replica Augusto Minzolini. Il tg dell’ammiraglia Rai sta per rinnovare sigla, studio e sito Internet e, in quest’ambito, il direttore aveva già «ragionato» con l’ufficio del personale Rai della possibilità di spostare la Busi all’edizione delle 13. «Ne avevo accennato, ma in maniera solo ipotetica con alcuni miei stretti collaboratori. Evidentemente la voce sarà arrivata anche a lei», conclude ironicamente il direttore.
Del solito caravanserraglio piddino-dipietrista si può anche tacere, visto lo scontro tra Titani in atto.

La «massima attenzione» invocata dal presidente Rai Garimberti e la «riflessione» avviata dalla rappresentanza sindacale del Tg1 lasciano trasparire che, al di là dell’estemporanea commozione, pochi in realtà siano pronti a stracciarsi le vesti.

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