Bussotti: «Il pianoforte? Tale e quale una persona»

Gentile, leggero, con un’affabile risata che accompagna ogni volta le risposte. Sylvano Bussotti, compositore-scenografo-regista-scrittore-poeta per dirne alcune (lui, figura poliedrica, non a caso indicato come uno dei guru dell’«arte totale»). All’alba degli ottant’anni ha l’energia di un’inesauribile sorgente e nel raccontarsi non si risparmia.
Originale e provocatore, sin dall’infanzia. «A mia madre una volta dissi che avrei voluto diventare “ultra-Papa”». E agli esami di ammissione al Conservatorio, non era da meno. «Alla domanda su cosa era stato suonato, risposi semplicemente, “la nota giusta”». Viaggio al centro della sua espressione, con una metafora. «Ricordo Luigi Nono, nelle sue partiture ogni sezione strumentale era segnata con colori diversi. Arte e musica». E ancora, la maturità sulle ali della riscoperta. «Lo stare allo strumento mi piace. Il pianoforte è come una persona, va trattato bene, sa?». Poi la messa in scena dell’opera Passion selon Sade, nel 1965 diretta con bacchetta e frusta; i ricordi di Moana Pozzi che ha esposto alla Biennale del 1991, il maestro Luigi Dallapiccola, il lavoro con l’interprete cantante Cathy Berberian... Basta?
Benvenuti nel meraviglioso mondo di Bussotti, il cui itinerario viene anche raccontato nella raccolta di scritti Disordine alfabetico (edizioni Spirali). Firenze, a questo suo figlio del ’31 («frequentavo un oratorio che stava tra una chiesa e una caserma»), ha deciso di dedicare un mese di mostre, concerti, spettacoli e incontri. Una celebrazione che parte oggi, al Museo Marino Marini. «Avrebbero dovuto ricordarmi quando ero adolescente - commenta col gusto del paradosso -. Spero di esporre il mio quadernetto sul quale avevo disegnato l’uscita di un ospedale, dopo aver fatto visita alla nonna ricoverata».
Nelle sale dell’esposizione «Corpi in musica» curata da Luca Scarlini - gli ambienti verranno sonorizzati con materiali scelti dal maestro - ci sarà una selezione di opere, molte delle quali mai viste. Dagli anni Quaranta in poi ritratti, progetti, i lavori di grafismo musicale, le attività con il Gruppo 63. D’obbligo intercettare il programma «Sylvano Bussotti: Vita e teatro», storia di un itinerario esistenziale ricco di incontri con personalità come Theodor Adorno, Roland Barthes e Pierre Boulez. «Petrassi dubitava della mia creatività», dice. Poi, evidentemente, dovette ricredersi e così «gli regalai un mazzo di fiori che rimase a lungo sul tavolo del suo studio». Ma che cosa non perdere assolutamente dell’evento fiorentino?
«Beh - spiega -, verrà eseguita la mia versione del Pierrot Lunaire, che in primavera sarà al Dal Verme». Già, a Milano, la sua amata. Una vita, un romanzo. Che prosegue proprio nel capoluogo lombardo, dove da qualche anno l’artista vive in un attico del quartiere Barona. «Se sto scrivendo? - ribatte -. Nel cassetto ho quattro lavori che in fondo sono uno soltanto. È presto per svelare, ma ci sarà futuro».
Bussotti guarda al panorama attuale con stupore e inquietudine. A tratti pensa a una «regressione ben ordinata» e gli vengono in mente le immagini del film Gli artisti sotto la tenda: perplessi, anno 1968, regia di Alexander Kluge. Non vuole indicare nomi di possibili eredi, ma tra quelli che osserva ci sono i compositori britannici, lo spagnolo de Pablo, il giapponese Ideiko e il giovane pianista Petrolino, allievo del compositore-musicologo futurista Daniele Lombardi. «I linguaggi del nostro tempo...

- conclude Sylvano che proprio per il filone futurista ha composto Slancio d’angoli, per ensemble e intonarumori (ndr - lo strumento inventato nei primi del Novecento da Luigi Russolo) -. Vedo delle forti concomitanze. Creazione fa rima con interpretazione».

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