C’è anche l’America che brucia occupazione

da Milano

C’è l’America di Microsoft, pronta a mettere sul piatto quasi 45 miliardi di dollari per Yahoo, e c’è l’America in crisi che non lancia Opa monstre e punta a limitare i danni. È l’America ormai incapace di azionare il volano delle assunzioni, quella che perfino un ottimista come George W. Bush ha definito «inquietante». Sulla scrivania del Presidente è piombato ieri come un sasso l’ultimo bollettino sul mercato del lavoro. Annuncia tempesta: 17mila posti di lavoro bruciati in gennaio, un fenomeno quasi sconosciuto per gli Usa. È la prima volta dall’agosto del 2003, infatti, che l’occupazione accusa un saldo negativo, segno di un probabile peggioramento rispetto alla situazione di pre-recessione testimoniata dal pessimo andamento del quarto trimestre 2007 (più 0,6% il Pil).
In quel dato, nettamente inferiore alle stime degli analisti (80mila nuovi posti, un numero comunque insufficiente a garantire la sostenibilità della crescita), non c’è traccia dei ripetuti interventi di ammorbidimento dei tassi con cui la Fed sta cercando da mesi di stimolare un’economia asfittica. Le imprese, molte delle quali alle prese con la profonda crisi del settore immobiliare, altre debilitate dal virus dei mutui subprime, non sembrano trarre alcun conforto dal minor costo del lavoro. L’industria edile ha perso 284mila addetti dal picco occupazionale del settembre 2006, e solo il mese scorso il comparto manifatturiero ha visto calare di 28mila unità la propria forza lavoro.
«Ci sono seri segnali di indebolimento dell’economia», ha aggiunto Bush, convinto che il piano di sgravi fiscali «aiuterà i consumatori a riacquistare la fiducia». Per la verità, la consumer confidence ha già dato qualche segnale di ripresa, risalendo in gennaio a quota 78,4 contro i 75,5 di dicembre, ma l’indicazione non è del tutto confortante. Meglio forse trarre buoni auspici dall’indice Ism, con cui si misura l’attività manifatturiera Usa, tornato sopra la linea dei 50 punti utilizzata per separare una fase di espansione da una di contrazione economica.

Questo risultato ha bloccato la volata dell’euro, salito fino a 1,4955 dollari (a un passo dal record di 1,4967) grazie al pessimo dato occupazionale, e poi sceso a 1,4787. La stessa volatilità ha contraddistinto la seduta di Wall Street (più 0,76% il Dow Jones, più 0,98% il Nasdaq), mentre la febbre da scalata ha infiammato l’Europa (più 1,3% Milano).

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