C’era una volta il «Times», ora resta il gossip

DNA Da sempre ha il vizio di sostenere tesi discutibili e di strizzare l’occhio alla sinistra filo-comunista

C’era una volta il «Times», ora resta il gossip

In inglese, lo chiamano da diversi anni «dumbing down». È il fenomeno - denunciato in buona parte del mondo occidentale - di un graduale ma inesauribile processo di rimbecillimento culturale, e di un peggioramento qualitativo delle informazioni e del livello del commento che ne deriva. Nel campo specifico della carta stampata, questo fenomeno viene spesso caratterizzato dal formato stesso dei quotidiani che praticano questo stile, sempre più volgare: «tabloid journalism».
Fondato nel 1785, il Times di Londra è sempre stato considerato il massimo del giornalismo serio e equilibrato, spesso pugnace, ma sempre attento ai fatti, e alla rigorosa separazione dei fatti dalle opinioni. Durante la Guerra di Crimea nel 1853, è stato il Times a inventare il concetto stesso dell’inviato all’estero, con William H. Russell, che attraverso i suoi memorabili dispacci del fronte, riuscì a redigere per la prima volta un reportage costante dei fatti terribili di una guerra in diretta.
Un po’ fra il serio e il faceto, nell’Ottocento il giornale fu soprannominato The Thunderer - il giornale che tuona - per via delle sue opinioni forti e a volte espresse in maniera troppo pomposa. Infatti, il Times non è solo storicamente il giornale del prestigioso e influente establishment britannico, ma è stato anche uno dei primi «campaigning newspaper», ossia la testate che adottano una certa tesi e cercano in tutti i modi di sostenerla. E pazienza se a volte le tesi sono state discutibili. Per esempio durante la guerra civile americana faceva il tifo per i ricchi proprietari degli Stati del Sud, così come negli anni Venti del secolo scorso prese per oro colato «Il protocollo dei Savi di Sion», un odioso libello falsificato contro il popolo ebraico che qualificava gli ebrei come «il massimo pericolo del mondo moderno». Salvo poi - con molto fairplay e senso di responsabilità -, ritrattare tutto l’anno successivo.
Nonostante il suo pubblico naturale sia stato dal Settecento l’alta borghesia liberalconservatrice, patriottica e moderata, il Thunderer ha sempre avuto un inconfessabile debole per i bravi tipini di sinistra: il suo corrispondente dal fronte nella guerra civile spagnola era riconosciuto come il migliore di tutti; tanto è vero che Kim Philby fu assunto dal MI6 britannico (i servizi segreti di Sua maestà) durante la seconda guerra mondiale. E ancora pazienza se dalla sua posizione privilegiata Philby è riuscito a servire non tanto Londra quanto Mosca, tanto da trasferirsi nell’Unione Sovietica nel 1963.
Meno perfido, ma sicuramente più comunista, era Edward Hallett Carr, uno dei più esimi storici del XX secolo britannico, autore degli editoriali più eleganti del Times durante e dopo la seconda guerra mondiale. Eleganti, ma più a favore delle tesi di Stalin che non di quelle di Churchill; in seguito ad un editoriale a favore dei partigiani comunisti greci che si erano dati battaglia contro il soldati britannici ad Atene nel 1944, lo stesso Churchill denunciò furibondo Carr e il Times stesso in un surriscaldato dibattito nella Camera dei Comuni.
Fino a tempi dell’acquisto da parte di Rupert Murdoch nel 1981, il Times aveva comunque mantenuto la sua reputazione di serietà, ma da quella data sono in molti a denunciare una graduale ma vistosa volgarizzazione, culminata nel 2004 nella decisione di trasformare il quotidiano più prestigioso del pianeta in un tabloid.
Per quanto riguarda gli esteri, le vecchie tradizioni di un Russell (o anche di un perfido Kim Philby), sembrano per molti un ricordo, dimenticate a favore di articoli mediocri e superficiali su alcuni temi e personaggi stranieri. Magie degli inviati che riescono a convincere il responsabile degli esteri. Basàti spesso solo su illazioni e elementi di dubbia provenienza (spesso raccolti con il sistema «taglia e cuci» dalla stampa locale), presentano al lettore del Times un ritratto di persone e dei temi fondati non tanto sui fatti controllati, quanto su un bricolage di pettegolezzi e insinuazioni senza precisa fonte citata.
Salta spesso agli occhi del lettore anglofono con una qualche conoscenza dei fatti politici italiani che vada oltre il sentito dire, la sorprendente sequela di articoli faziosi dell’attuale corrispondente a Roma, Richard Owen, che ha il dente avvelenato contro il Cavaliere e non perde occasione per maledirlo. Owen ricostruisce la presunta vita amorosa di Berlusconi con una morbosa attenzione ai dettagli più piccanti, di dubbio valore giornalistico, e spesso difficile da autenticare.

Commentando l’assenza di Veronica Lario al summit dell’Aquila, l’ineffabile Gola Profonda della stampa estera cita un fantomatico «insider del vertice» che sussurra: «La moglie non era disponibile a guidare le First Lady, le altre donne che frequenta Berlusconi risultano impresentabili, allora è stata cooptata la moglie del capo dello Stato». Un lettore un poco più rigoroso si domanda: chi sarà mai questo «insider del vertice»? Esiste davvero? Oltre la fantasia di Owen, si intende.

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