Pubblichiamo uno stralcio del libro «Il disubbidiente », autobiografia dell’ex 007 Francesco Pazienza edita da Longanesi nel 1999. Consulente del Sismi, Pazienza ha alle spalle condanne per il crac del BancoAmbrosiano e per la gestione dei segreti di Stato. Nel brano riportato qui, Pazienza ricorda quando Di Pietro, da pm a Bergamo, lo pedinava in segreto alle Seychelles
di Francesco Pazienza
Con la partenza del Falcon 50, la «campagna d’Africa» non si era affatto conclusa. Dopo qualche giorno, fui convocato da Berluis. Con lui c’erano due persone: un uomo delle Seychelles, che lavorava come operativo per i servizi di informazione, e il nordcoreano che dirigeva la squadra di asiatici che aveva rimpiazzato gli inefficienti tanzaniani.
Si chiamava Kim, più qualche cosa di estremamente complicato. Ma per tutti era Kim e basta. Parlava l’inglese in un modo tale che sembrava stesse leggendo un telegramma. Tuttavia riusciva a farsi capire benissimo, anche perché nessuno pretendeva che citasse passi del Paradiso perduto di Milton.
Kim disse che i suoi uomini avevano adocchiato una coppia di giovani italiani, alloggiati in un hotel piccolo ma confortevole, il Sans Souci. Certamente erano spie della Cia o dei servizi segreti italiani in combutta con la Cia. L’italiano andava in giro tutto il giorno con la macchina fotografica.
«Be’, che c’è di strano?» domandai. «Tutti i turisti che vengono alle Seychelles girano con la macchina fotografica a tracolla».
Secondo Kim e l’uomo delle Seychelles seduto accanto a lui, la differenza tra i normali turisti e l’italiano era che quest’ultimo si nascondeva. E, inoltre, non faceva altro che parlare con gente controllata dai Servizi dell’isola come, per esempio, il vescovo sospettato di essere il leader dell’opposizione al presidente René.
Kim aveva fatto seguire e fotografare il misterioso italiano. C’era già pronto un dossier su di lui e i suoi movimenti. Guardai le fotografie. Erano tutte in bianco e nero. In alcune immagini era ben visibile il volto dell’italiano. Questo è meridionale, pensai. Occhi scuri, capelli neri pettinati all’indietro, volto piuttosto tondo. Osservai con cura anche le immagini della donna che lo accompagnava: la moglie, forse, o l’amica, la fidanzata... Non avevo allora la minima idea di chi potesse essere.
In mezzo alle fotografie, non riuscivo a trovare il documento che mi interessava di più: la fotocopia della carta di ingresso del Paese che viene compilata all’aeroporto subito dopo lo sbarco. Qualcuno tra i presenti me la allungò. Lessi attentamente. Nome: Antonio. Cognome: Di Pietro. Alla voce professione c’era scritto: magistrato nella città di Bergamo.
Non l’avevo mai sentito nominare e non sapevo neanche se fosse davvero un magistrato. Mi rivolsi a Kim: «Che cosa chiede esattamente questo tipo quando va in giro a chiacchierare?».
«Fa domande a destra e a sinistra su di te e chiede notizie dicendo che gli potrebbero essere d’aiuto non so per che cosa», rispose il nordcoreano.
Discutemmo a lungo prendendo in considerazione varie ipotesi sulle ragioni che lo potessero aver spinto a venire nell’isola trascurando le vacanze, la ragazza che stava con lui, il mare e il sole. Kim era determinato e tassativo: «Ci penso io a risolvere il problema. Questo tizio deve finire diritto in fondo a qualche dirupo a bordo della Mini Moke, la macchina che ha noleggiato. Tra l’altro, abbiamo notato che non si trova molto bene con la guida a sinistra... La Cia deve mettersi bene in testa che le Seychelles non sono diventate casa loro. Dobbiamo dare una lezione esemplare». E giù tutto un sermone ideologico sulla sovranità violata.
«Stiamo attenti», dissi invitando tutti alla calma. «Può darsi che sia davvero un magistrato italiano. Prima di prendere una decisione bisogna controllare se la qualifica professionale che ha scritto sulla carta di sbarco corrisponde al vero oppure no. Mi occuperò di questo immediatamente. Un’ultima cosa: lo state registrando».
«Sì, ogni sera chiama l’Italia. Ma non abbiamo ancora ben capito cosa dice. Parla solo italiano. Abbiamo però l’impressione che informi qualcuno sulle ricerche che sta facendo sull’isola», rispose Kim con la sua consueta precisione.
«Sentite», conclusi. «Entro domani mattina saprò se questo Di Pietro è davvero un magistrato. Qui, sulla carta di sbarco, c’è scritto che partirà fra quattro giorni. Nel caso in cui sia davvero un magistrato, non fate nulla, lasciatelo partire. Se dovesse prolungare il soggiorno, vedremo. Tutt’al più, domani, dopo la verifica, mandate qualcuno a consigliargli di togliersi dai piedi per la data prevista. Nel caso in cui invece non sia un magistrato, fate quello che volete o che dovete fare.
Per fortuna, Antonio Di Pietro era davvero un magistrato. Salvò la pelle solo per questo. E perché accettò, molto giudiziosamente, il consiglio di sgomberare il campo nei tempi e nei modi preventivati.
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