RomaSarà leffetto combinato delle primarie e del caldo, ma nel Pd accadono strane cose.
Certo, il partito è in campagna congressuale, ha un segretario provvisorio e nessun leader, è diviso in clan che di qui a novembre sono in guerra. Ma una volta passato il congresso ed eletto segretario, riusciranno i clan a riconciliarsi e a ricominciare a far politica? E il Pd - vinca Bersani, Franceschini o Marino - avrà «quel Tony Blair che la sinistra italiana non ha mai trovato», come lamenta Piero Ichino?
Per esempio: il segretario in carica, Franceschini, fa un viaggio lampo a Palermo, per visitare i due sopravvissuti eritrei della tragedia nel Canale di Sicilia. Gesto apprezzabile, compiuto tenendo lontane le telecamere per evitare accuse di speculazione. Benissimo. Peccato che dal suo stesso partito siano partiti attacchi pesanti: il segretario Pd di Palermo, Ninni Terminelli, lo accusa di «delegittimare i dirigenti locali» e di «non comportarsi da segretario di tutti», per non averlo informato della visita. Insorge pure un consigliere comunale, Salvatore Orlando: «Il segretario non coinvolge lintero partito su un tema importante», perché «ha avvisato solo i componenti della sua mozione» del blitz. I due contestatori sono avversari interni di Franceschini, supporter di Ignazio Marino. Quello che doveva essere un gesto da leader dellopposizione, insomma, alle sensibili nari dei suoi compagni puzza solo di propaganda congressuale. Con buona pace dei profughi eritrei.
Altro esempio: la Rai. Nella gran girandola delle poltrone tv, quelle di spettanza Pd sono rimaste finora congelate, in attesa del congresso che dovrebbe chiarire chi comanda. La corrente Franceschini-Veltroni-Gentiloni vuole la riconferma di Paolo Ruffini a Raitre e di Antonio Di Bella al Tg3. La corrente DAlema-Bersani vorrebbe Di Bella alla rete e Bianca Berlinguer al tg. I franceschiniani si sono insospettiti quando il direttore generale Mauro Masi ha proposto esattamente lo stesso ticket: cè un inciucio (via Masi) tra DAlema e Berlusconi, hanno subito dedotto. Non a caso, fanno notare, Bersani piace in maniera sospetta a destra: «Ieri persino Brunetta ha detto che è il suo preferito». I due membri Pd del Cda Rai, Rizzo Nervo e Van Straten - entrambi pro Franceschini - sono stati incaricati di resistere e non votare nulla fino al congresso, facendo muro se la maggioranza (e DAlema) dovessero accelerare.
Intanto si litiga sulla propaganda congressuale: i supporter di Franceschini accusano Bersani di aver già speso 70mila euro, un terzo del budget consentito (ogni candidato ha un limite di spesa di 250mila euro in propaganda), in affissioni di suoi manifesti. «Se ha speso così tanto ad agosto, che farà di qui a ottobre?», si chiedono. Limputazione principale contro Bersani è quella di essere longa manus di DAlema: «Gli ha persino scelto lagenzia pubblicitaria, Proforma, che guarda caso è di Bari». La contro-accusa a Franceschini è di farsi dettare le mosse da Veltroni. I due presunti pigmalioni stanno defilati: DAlema veleggia in Grecia, Veltroni spiega a Radiotre: «Non aspiro a nulla, non ho progetti politici». Ricorda però, giustamente, che lui almeno il Pd lo ha portato sopra al 33%. Con Romano Prodi, oggi nostalgicamente celebrato come unico leader vincente del centrosinistra, lUlivo rimase al 31%. Ora Prodi accusa la sinistra italiana di essersi fatta irretire dal mercatismo e da un Blair che - a suo dire - era solo un pallido imitatore dei conservatori Thatcher e Reagan. Un po troppo, da parte di uno che ha governato con Pecoraro e Diliberto ed è caduto su Mastella: due liberal di peso del Pd come Ichino e Nicola Rossi ieri si sono incaricati di affondare anche Prodi, lultimo mito. Il primo difende Blair e mette il dito sulla vera mancanza della sinistra italiana: non le «buone idee, di quelle ne abbiamo tante», ma qualcuno «che le sappia incarnare, condurre a sintesi e comunicare». Un leader, appunto. Che neanche Prodi è stato: «Denuncia delle difficoltà, ma non mi sembra indichi vie di uscita. Blair seppe farlo».
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