A caccia di ossa nel cimitero della mala

Uno scheletro quasi completo da una parte e un omero, un giubbotto e due bossoli calibro 38 dall’altra sono gli elementi di un complicato giallo di mezza estate. Un mosaico da ricomporre in cui però le varie tessere non sembrano combaciare ala perfezione. Unico elemento certo in comune, la vicinanza dei ritrovamenti: lo scheletro il 19 luglio, il resto una settimana dopo a cento metri di distanza. Tanto da lasciar pensare a un cimitero della mala. Ma a rendere ancora più fitto il mistero, se ce ne fosse bisogno, c’è l’identità della prima vittima: un goriziano di 58 anni, piccolo balordo tossicomane, che mai prima aveva avuto a che fare con Milano.
Via Ripamonti è uno stradone lunghissimo che da Porta Vigentina arriva fin quasi a Opera. Poco prima della tangenziale Ovest, la strada gira attorno a una risaia diventando Quintosole. Qui da qualche tempo un’impresa sta realizzando alcuni lavori di consolidamento e le ruspe stanno sbancando il ciglio da arbusti e cespugli. Proprio durante questa operazione, una decina di giorni fa, una benna riporta alla luce un teschio. Le ricerche riprendono alla presenza della polizia e consentono di recuperare il resto dello scheletro, ma soprattutto un portafogli che permette di dare un nome a quei resti. Dovrebbe trattarsi, ma mancano le conferme scientifiche, di un pregiudicato goriziano di 58 anni, di cui non si ha più notizie da una decina d’anni. Ha moglie e figlia che però, vista la personalità del congiunto, non hanno mai avuto tanta urgenza di denunciarne la scomparsa.
L’uomo ha un basso profilo criminale: è un tossicodipendente con precedenti per reati contro il patrimonio e per spaccio di droga. Dopo aver dato fuoco a un bar, nel 2007 subisce una condanna per tentato omicidio. Agli investigatori milanesi però risulta un perfetto sconosciuto: nessun suo precedente in città, neppure un banale controllo. Tutto lascia pensare a un omicidio: l’uomo sarebbe stato ucciso chissà quanto tempo fa e buttato tra i cespugli, oppure sotterrato sotto pochi centimetri di terra. Anche se mancano elementi certi come fratture o scheggiature, determinate da proiettili, coltelli o spranghe, che arriveranno solo da più accurati esami medico legali.
Passano 8 giorni e sempre una benna riporta alla luce un omero, sicuramente umano, a un centinaio di metri di distanza. La polizia torna in via Ripamonti, riprende a cercare e ieri pomeriggio, al termine della prima giornata di scavi, oltre a quell’osso, vengono ritrovati un giubbotto e un paio di bossoli. Dunque un altra morto ammazzato, lo fanno sospettare i due proiettili, mollato in aperta campagna.
Da questo punto in poi tutte le ipotesi sono buone. Piuttosto certo si tratti di almeno un delitto, ma i diversi resti potrebbero anche trovarsi in quel luogo per combinazione, abbandonati in seguito a due distinti fatti delittuosi. Oppure potrebbero essere stati uccisi contemporaneamente, magari mentre cercavano di scappare in direzioni diverse e nascosti alla bell’e meglio, tra i cespugli.

O forse, l’ipotesi più attendibile con i pochi elementi in mano, un pluriomicida ha ucciso in momenti diversi e poi ha usato quel campo per fare sparire le tracce dei suoi delitti. Trasformando così il terreno in un «cimitero della mala».

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