Caccia al tesoro sotto il mare Adriatico

da Milano

L’opportunità è ritenuta talmente interessante che al largo delle coste adriatiche sono arrivati anche gli irlandesi. A quanto risulta a Il Giornale, infatti, a fine giugno Petroceltic International, società di esplorazione di idrocarburi quotata alle Borse di Dublino e Londra, si è aggiudicata in via esclusiva nove permessi preliminari di esplorazione per giacimenti di petrolio e gas nel medio Adriatico.
L’area è al largo della costa abruzzese, nei pressi di Ortona, in acque dai 30 ai 150 metri di profondità. Nella stessa zona la società detiene altri permessi, sia nell’entroterra che off-shore. Ad ottenere il via libera dal ministero dello Sviluppo Economico è stata la filiale italiana, Petroceltic Elsa srl. È da notare, peraltro, che nel capitale di Petroceltic International è entrato in questi giorni, con una quota del 22,6% il gruppo spagnolo Iberdrola, con un aumento di capitale da 55 milioni di dollari, che servirà proprio a finanziare le nuove esplorazioni in Adriatico, oltre che in Algeria. «I permessi sono subordinati alla presentazione da parte della società di un rapporto ambientale», spiegano a Petroceltic, rapporto che dovrà essere valutato poi dal ministero.
Nel frattempo, vista l’urgenza del problema e l’interesse a risolverlo, potrebbe sbloccarsi un’altra importante vicenda energetica dell’Adriatico. Si tratta dei mega giacimenti sottomarini da 30 miliardi di metri cubi di gas già accertati, e 100 stimati, tra Chioggia e il delta del Po. Un tesoro il cui sfruttamento dipende dalla composizione delle diverse vedute tra la Regione Veneto, che teme danni ambientali, e il ministero dello Sviluppo economico. La scorsa legislatura aveva infatti accolto un ordine del giorno parlamentare firmato dal diessino Erminio Quartani e da Stefano Saglia, esperto di energia di Alleanza nazionale, per istituire una nuova commissione incaricata di verificare entro il settembre di quest’anno il rischio delle esplorazioni e dello sfruttamento dei giacimenti. Il timore delle amministrazioni venete è che le estrazioni possano causare quel fenomeno che va sotto il nome di «subsidenza», vale a dire l’abbassamento della costa. «I veneti temono che Venezia affondi», dice Saglia, «ma i rischi vanno fatti verificare agli scienziati». I giacimenti dell’Alto Adriatico erano già stati oggetto di interesse recente da parte dell’Eni nel 2002.

Il gruppo petrolifero era stato autorizzato dal ministero dell’Industria ad installare una piattaforma esplorativa, in seguito però sequestrata dalla magistratura, che aveva individuato carenze nei documenti prodotti dalla società.

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