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«Cacciare i no global? Impossibile, ho dovuto svendere il mio palazzo»

Parla il proprietario dell’edificio occupato da 14 anni da Caruso & C. ora acquistato dal comune di Napoli per 1,2 milioni di euro e «girato» ai disobbedienti

«Cacciare i no global? Impossibile, ho dovuto svendere il mio palazzo»

Gian Marco Chiocci

nostro inviato a Napoli

Quattordici anni per vedersi riconosciuto il diritto alla casa, la sua, occupata abusivamente dai Disobbedienti col silenzio-assenso delle istituzioni politiche e giudiziarie partenopee. Quattordici anni per sentirsi dire, ok lei ha tutte le ragioni del mondo, ha subito un torto vergognoso, ciò che le è capitato non ha precedenti, ma ora scurdammece 'o passato: ci venda l'immobile espropriato dai no global al prezzo che stabiliamo noi (un milione e duecentomila euro) e non alla cifra calcolata dai suoi periti (due milioni e mezzo di euro, senza contare i mancati introiti da 150 milioni di vecchie lire l’anno) così chiudiamo la pratica e facciamo contenti tutti: lei innanzitutto, eppoi gli inquilini del centro sociale Officina99 «regolarizzati» dalla signora Rosa Russo Iervolino dopo anni di impunità totale su affitto, acqua, luce, gas, telefono, rifiuti, diritti Siae per i concerti e via discorrendo. Quattordici anni per decidere, all'istante, se prendere o lasciare, se continuare a sbattere la testa contro il muro firmando la sessantatreesima denuncia (nessuna delle precedenti ha avuto seguito) o portare a casa il minimo sindacale.
Bene. A cinquemilacentodieci giorni dalla confisca proletaria, Maurizio Casanova, amministratore della Sogecoim e titolare dello stabile okkupato di via Granturco, si è arreso. Ha detto basta. Ha ceduto su tutta la linea. Ha svenduto quando voleva affittare. Ha preso al volo l’occasione-capestro prospettata dalle autorità cittadine. Ora che è acqua passata fra un bagno al mare e uno spaghetto alle vongole, si sfoga col Giornale.
Signor Casanova, l'incubo è finito?
«Ho finito di penare, questo sì. Dopo quasi quindici anni di lotte furibonde, soprusi, abusi, minacce, la querelle con chi mi ha rubato la casa e con chi ha permesso che quel furto non meritasse punizioni, può dirsi conclusa. E chi se ne importa se ci ho rimesso tempo, quattrini, salute. Adesso finalmente respiro».
Come e quando è arrivato il miracolo?
«È la classica storia all'italiana. Per quattordici anni nessuno muove un dito, nessuno si interessa alle mie disperate richieste d'aiuto. Poi, all'improvviso, sul finire dell'anno scorso in tv compare il ministro Castelli che minaccia di mandare tre ispettori in procura a Napoli per capire come mai l'autorità giudiziaria partenopea non fa nulla per ripristinare la legalità nel centro sociale Officina99, ovvero a casa mia. Da quel momento, evidentemente, qualcosa si smuove. Cominciamo gli abboccamenti, poi le riunioni in prefettura, fino all'ultimo incontro a cui partecipa anche un funzionario della Digos in contatto col Pm che segue l'ultima inchiesta. Mi chiedono se sono interessato a vendere, rispondo che preferisco affittare, al massimo una permuta, loro rispondono che sono interessati solo all’acquisto perché hanno in mente grandi cose culturali su quel locale. Fatto sta, alla fine accetto anche se le cifre divergono. Un milione e duecentomila euro, dicono. O così o pomì. Non ho scelta, accetto».
Insomma, contento?
«Contento? Bah. Dopo quattordici anni d’agonia ho preferito chiudere sennò diventavo pazzo. Devo ringraziare un ministro leghista se un napoletano, nella sua città, ha ottenuto giustizia. Perché qua giù, dovete sapere, non tutti i cittadini hanno uguali diritti. I cosiddetti no global possono fare qualunque cosa, e tu non puoi farci niente».
Quando parte il suo calvario immobiliare?
«Primi anni Novanta. Un bel giorno un gruppo di giovanotti prende possesso dello stabile, la polizia interviene, scontri, anche pistolettate in aria, gran caos e quando la situazione sembra tornare alla normalità, eccoli tornare per non andarsene più. La prima denuncia in procura è del 1991, ma l'inchiesta non va avanti perché, mi dicono, il fascicolo non si trova più. Così ne ripresento un'altra, e altre a seguire. Dopodiché, ciclicamente, scrivo lettere e diffide al sindaco Bassolino, poi al successore Iervolino, a vari assessori di palazzo San Giacomo, al presidente della Regione, ai vigili urbani, ai pompieri, alla Asl, al questore, alla Digos, ai carabinieri, al prefetto, scrivo persino ai presidenti di Camera e Senato e al capo dello Stato. Ognuno mi rimanda a qualcun altro, uno scaricabarile senza fine. Ma io non demordo. Nel 1998 un magistrato fa spallucce dicendo che il mio è un problema politico e non di legalità. Scrivo ai politici facendo presente il ragionamento dell’autorità giudiziaria, e mi dicono esattamente il contrario: il problema è di sicurezza. Mi vien da piangere, da ridere, da mandare tutti a quel paese».
Quindi?
«Alla fine la prendo con filosofia ma non mollo. Non mi va giù che l'illegalità più sfrenata, l’occupazione proletaria, le bollette non pagate e altri abusi vengano tollerati dai nostri amministratori. Ogni volta che posso, sollevo il problema anche perché, più passa il tempo, più lo stabile perde valore per il degrado, più io perdo un affitto da 150 milioni di vecchie lire l’anno. Faccio talmente casino che una sera accendo la tv e sento il ministro Castelli parlare del mio caso, del centro sociale Officina99. Non credevo alle mie orecchie. Ho alzato il volume, poi gli occhi al cielo, e m’è ventuto spontaneo urlare: “San Gennaro mio...

'o miracolo!”».

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