Stile

Caffè, la rivoluzione

di Andrea Cuomo

Settembre, andiamo, è tempo di caffè. Quella che s'apre sarà la stagione in cui saremo costretti a mettere in discussione tutti i nostri luoghi comuni in fatto di caffè.

Lo sapete tutti: tra qualche giorno apre a Milano il primo locale italiano di Starbucks, la catena che ha reinventato la bevanda per cui noi siamo (o pensiamo di essere) i migliori al mondo. L'evento è epocale, perché il colosso di Seattle si è ben guardato per un paio di decenni di affrontare il nostro mercato. Erano convinti, i signori della sirena nervosetta, che fosse come andare a giocare a ping pong a Shanghai, a distillar whisky in Scozia, a insegnare il sumo a un obeso giapponese. Una battaglia già persa.

E allora, come mai qui e ora? È chiaro: qualcosa sta cambiando. E anche gli inventori di evitabili prodezze come il Frappuccino e l'Iced Salted Caramel Mocha - una bestemmia non solo a Napoli, ma anche ad Aosta - hanno capito che era giunto il momento di sfidare il Grande Paese dell'Espresso.

Il fatto è che noi italiani negli ultimi due secoli abbiamo puntato tutto su un solo cavallo. Di razza. Ma uno. L'espresso. E visto che tutti ci riconoscevano il genio michelangiolesco di questa estrazione estrema della polvere tratta dai chicchi di Coffea Arabica, a un certo punto abbiamo iniziato a pensare che il caffè fosse solo quella roba lì: una spremuta di poche concentratissime gocce in una tazzina piccola e bollente e da bere in piedi in sette secondi, gomito a gomito con altri stressatissimi adoratori di questa dea energetica.

Bravi. Applausi. Ma il mondo è andato oltre, continuando a rispettare altri modi di trattare e consumare i frutti di quella pianta magica. Di più: molti Paesi di quello che potremmo chiamare il Nuovo Mondo del Caffè, come gli Stati Uniti e l'Australia, sono andati oltre, riservando a questa bevanda imprescindibile le attenzioni altrimenti riservate soltanto al vino: la cultura della provenienza e della varietà, l'attenzione per i differenti tipi di torrefazione ed estrazione, la curiosità per i momenti e le «opportunity» alternativi per berlo. Noi siamo rimasti aggrappati ai nostri dogmi in allitterazione (le tre «c» napoletane - caldo, carico, comodo - che diventano «comm' cazzo coce») interpretando il caffè come una rigida commodity, gli altri si sono goduti un mondo intero di variazioni sul tema: l'aromatico caffè filtro, il floreale Dripper, l'estivo ed elegante Cold Brew.

Per questo dobbiamo salutare con gioia l'arrivo di Starbucks che - al netto dei suoi pannosi eccessi commerciali - ci spingerà a guardare oltre l'espresso. Senza tradirlo.

Ma nessun amore è tale se non si supera la tentazione della profanazione.

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