Un calabrese e un lombardo, orgogliosi reduci di 109 anni

Due dei dodici superstiti della Grande guerra in tutto il mondo sono italiani. Il nostro Paese mandò a combattere, tra il 24 maggio 1915 e l’11 novembre 1918, circa due milioni di uomini: di questi, 600mila morirono sul campo o in prigionia. Oggi, a novant’anni dalla fine del conflitto, solo Domenico Chiarello e Delfino Borroni - entrambi nati nel 1898 - sono ancora in vita per raccontare quell’esperienza.
Domenico Chiarello, nato a Umbriatico (Cosenza), ha compiuto 109 anni lo scorso 5 novembre. Chiamato alle armi nel 1918, fu inviato in Trentino con il 19° Reggimento di Fanteria “Cosenza“ nel momento in cui l’esercito italiano stava organizzando la vittoriosa controffensiva finale. «Ho avuto la fortuna - racconta - di prendere parte a quella grandiosa riscossa che ha unito tutti noi italiani con un unico intento, la vittoria». Negli ultimi mesi della guerra fu inviato in Albania e in Montenegro. Chiarello ha combattuto anche nella seconda guerra mondiale e da civile è stato allevatore e agricoltore a Cirò Marina, dove vive tuttora.
Delfino Borroni, nato a Turago Bordone in provincia di Pavia, compirà 110 anni il prossimo 23 agosto e vive oggi a Castano Primo, nel Milanese. Nel gennaio 1917, a 18 anni, si arruolò nel 6° Reggimento Bersaglieri “Bologna“ e fu inviato sul fronte trentino contro gli austriaci. Il suo battesimo del fuoco fu sul monte Pasubio, ma combatté anche in Valsugana e a Caporetto, dove nell’ottobre 1917 fu coinvolto nella disastrosa ritirata italiana.

Ferito, fu catturato dagli austriaci e trascorse un anno in prigionia, sempre affamato e obbligato a scavare trincee lungo il Piave. Fu liberato solo poco prima della fine della guerra, nel pieno della controffensiva italiana. Da civile, Borroni ha fatto per decenni il tranviere a Milano.

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