Reggio Calabria - «Vuole sapere se sono preoccupato, se sono spaventato? No, non lo sono. Non mi sono preoccupato troppo neanche tre anni fa, quando si è scoperto che volevano farmi fuori. Questione di carattere, credo. Vede, qualunque cosa accada io riesco a restare lucido, a metabolizzare le cose. Perdere la calma fa il gioco degli altri. Serve la calma, per vedere chiaro in quel che accade. E io voglio vederci chiaro».
Sono le due di lunedì pomeriggio, e nel cielo di Reggio Calabria si rincorrono le nuvole. Il pubblico ministero Nicola Gratteri è nel suo ufficio al sesto piano del centro direzionale che ospita la Procura della Repubblica. Palazzo blindato, guardie e carabinieri agli ingressi. Eppure qualcuno ha portato qua dentro una cimice e l'ha piazzata in una stanza a pochi passi da questa, la stanza dove Gratteri e i suoi uomini pianificano le mosse delle indagini sulla 'ndrangheta.
Per giorni, per settimane le riunioni del Pm antimafia e del suo staff sono state ascoltate in diretta da qualcuno che era qui, nello stesso palazzo, a portata di onda radio della rudimentale microspia.
Un altro, al suo posto, farebbe fuoco e fiamme. Invece Gratteri sta calmo e ragiona. E sta calmo e ragiona anche sull'altro veleno che agita questa Procura senza requie, la lettera anonima che sparge accuse a tutti e tutto: compreso lui, Gratteri, accusato dal «Corvo» di fare i soldi con il business delle intercettazioni, di essere legato da rapporti oscuri alle società che eseguono il lavoro per conto della Procura. «Vede, della microspia non posso parlare - dice Gratteri - perché c'è un'inchiesta in corso, condotta dalla Procura di Catanzaro, e io vi figuro come parte lesa».
E del «Corvo», dell'anonimo? C'è un'inchiesta pure lì?. E dunque? «Dunque il mio ufficio paga per fare le intercettazioni la cifra più bassa d'Italia, sedici euro al giorno tutto compreso. Sono stato io a imporre questa tariffa alle aziende che lavorano per noi, e che in altre città si fanno pagare venti o venticinque euro. Ho scelto tre aziende e ho diviso il lavoro tra di loro, mentre altrove c'è chi agisce in condizioni di monopolio. Come vede, il «Corvo» con me non va da nessuna parte. Vivo del mio stipendio e ho appena finito di pagare il mutuo dopo ventidue anni che faccio il magistrato».
Dalla finestra si vedono lo Stretto, i contrafforti siciliani. Ma si vedono anche i cantieri di questa città martoriata dal crimine organizzato. Nicola Gratteri sa di avere toccato in questi anni interessi importanti, «abbiamo smantellato interi «locali» della 'ndrangheta, che qualcuno ce l'abbia con me è inevitabile». Ma sa anche che la microspia nel suo ufficio difficilmente l'ha messa un malavitoso, uno di quelli classici. A un collega, nei giorni scorsi, dopo il ritrovamento della microspia, Gratteri lo ha detto chiaramente: «L'obiettivo non era spiare le mie indagini ma spiare il sottoscritto, trovare una frase, uno spunto per cercare di delegittimarmi. Ma potevano ascoltare quanto volevano, di modi per fottermi non ne troveranno mai». E a chi gli chiedeva della rozzezza della cimice, a chi domandava se la microspia non fosse lì proprio per essere trovata, per mandare un messaggio, un avvertimento, rispondeva secco: «Niente affatto, la cimice era lì per ascoltare. Era infilata in mezzo a certi faldoni di carte inutili che non tocchiamo mai, se non avessimo fatto la bonifica non l'avremmo mai trovata».
Degli strani animali che agitano questa Procura, del «Corvo» e della «Talpa», dell'anonimo e della microspia, si può giurare che Gratteri si sia fatto già un’idea abbastanza precisa. Storie diverse, mani diverse, ma un unico obiettivo: delegittimare lui e le sue inchieste. Si sente solo, dottore? E le istituzioni? «Alle istituzioni chiedo una cosa sola: leggi diverse, pene più severe. Oggi un trafficante di droga in teoria rischia tra i venti e i trent'anni di carcere, ma in primo grado fa l'abbreviato e riduce la pena d un terzo, poi va in appello e si mette d'accordo con la pubblica accusa per patteggiare la pena. Poi ci sono i benefici, la legge Gozzini, la Simeone... In cinque anni è fuori. E cosa sono cinque anni davanti ai soldi che ha fatto importando migliaia di chili di cocaina? E il carcere, poi...
Bisogna riaprire i campi di lavoro. Perché si sono chiuse l'Asinara, Pianosa, la Gorgona? Di questo bisogna parlare, non della mia microspia. Io sono tranquillo».Ma della microspia trovata a Reggio forse si tornerà a parlare molto presto.
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