Calcio inquinato: l’occasione persa per fare pulizia

Dagli Anni 80 il pallone si tuffa ciclicamente nel marcio e nel marciume. Per poi dimenticare ogni volta...

Calcio inquinato: l’occasione persa per fare pulizia


Le chiacchiere, le scuse, anzi le scusanti degli attori (preferite protagonisti?), sono sempre le stesse. Parola più, parola meno. Il chiacchiericcio quasi mai cambia sceneggiatura. I soloni propinano ogni volta le medesime ricette. I dirigenti, di società o peggio quelli federali, sventolano metodicamente l’aria inorridita, la tolleranza zero come si bevessero un caffè. Così abitudinario da non sentirne più nemmeno il sapore. Così insapori, nel parlare, da non lasciar traccia. Viviamo tutto questo dagli anni ottanta, quelli dello scandalone, il Milan e Paolo Rossi, Giordano e Manfredonia.
Si potrebbe andare anche più indietro, ma quello scandalo ha tracciato una linea di confine per dimensione, metodi, eccessi, rilievo mediatico, manette e polizia all’opera negli stadi. Il calcio poteva imparare qualcosa. Non lo ha fatto. Ha avuto tante occasioni per stroncare e troncare con il malaffare, far piazza pulita, proporre sanzioni dure, tempiste, terrorizzanti. Poteva spazzar via quel carrozzone di dirigenti che da anni gestisce e blandisce, tiene tutti per la collottola. Poteva, ma non l’ha fatto. Ogni occasione è stata una speranza delusa, un’occasione perduta. Se n’è accorto anche Filippo Beatrice, il pm di Napoli che ha condotto l’inchiesta di Calciopoli. Lo ha detto con l’animo del tifoso, l’osservazione semplice, non semplicistica: il calcio doveva avere il coraggio di azzerare tutto, ma non è successo.
Dai mitici anni ottanta, in modo ciclico, ci rituffiamo nel marcio e nel marciume: scandali, giocatori truffaldini, dirigenti da ufficio inchieste, arbitri comprati o quasi, schede telefoniche. Ogni volta ci domandiamo: ma la federazione? La risposta non cambia mai: è rimasta a guardare. Non c’era e se c’era non sentiva. O peggio: intuiva, ma non aveva armi.
Strano, vero? Non siamo più alla sorpresa. Per avere dubbi basta guardarsi le partite di fine stagione, ascoltare i pissi-pissi, dare un’occhiata alle scommesse e alle agenzie che le gestiscono. Quest’anno sono arrivate numerose segnalazioni. Da anni la musica(stonata) non cambia. E da anni ce la raccontano sempre come una sorpresa. Ieri Abete, presidente federale, e Petrucci, presidente del Coni, si sono riuniti per scovar la genialata. Ed infatti cosa ti cavano? Un comunicato congiunto. Vabbè. Poi? Leggete: «Coni e Figc hanno convenuto sulla necessità di rafforzare le forme di collaborazione tra soggetti preposti alla tutela dell’ordine statuale e quelli preposti alla tutela dell’ordine sportivo... al fine di mettere in funzione ulteriori strumenti operativi per contrastare il fenomeno delle attività illecite collegate alle scommesse». Potevano pensarlo anche dieci anni fa. Forse più. Poi Abete, non soddisfatto, ha fatto sapere che ci sarà tolleranza zero(saprà cosa significa davvero?) contro l’omertà, ovvero i casi di omessa denuncia. E se ci fossero arrivati non dieci ma 20 o 30 anni fa? Non sarebbe stato meglio?
Sembra di scherzare, ma non dimentichiamo che qui stiamo parlando di attori, protagonisti e personaggi finiti, chi più, chi meno, in tutti i calderoni calcistici. Abete c’era quando c’erano Moggi e compagnia. Franco Carraro è rimasto a galla in qualunque mare. La lista è ricca di nomi anche di secondo piano. Il calcio scommesse «anni ’80» ha permesso di vivere e sopravvivere ai protagonisti. Bruno Giordano vive ancora in questo mondo, Manfredonia ci prova, Paolo Rossi fa il commentatore, solo Felice Colombo, ex presidente del Milan, non si è più affacciato.
Gli altri scandali e scandaletti che si sono succeduti hanno regalato pene da buffetto. Nessuno si è allontanato dal pallone per quella che chiamerebbero tolleranza zero. Stiamo ancora attendendo di sapere se Luciano Moggi sarà radiato. E con lui lo meriterebbero diversi altri. La giustizia sportiva aveva una sua velocità d’esecuzione, in questi anni se l’è presa comoda. Si è perfino arrivati al pasticciaccio: scudetto sì, scudetto no all’Inter. Non c’era bisogno di toglierlo alla Juve per consegnarlo a Moratti. Bastava non assegnarlo.


Invece l’eterna mediazione, i troppi intrecci di interesse, l’impossibilità(la poca voglia) di agire con concretezza, determinazione, pene dure e sicure, ha condotto il mondo del pallone a mantenere viva quella terra di nessuno dove tutti possono esistere, resistere ed attendere che sia passata ’a nuttata.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica