Il calcio prova a diventare sport

Dagli sputi alle strette di mano: il calcio prova a diventare uno sport. Ci sono voluti due morti in dodici mesi, ma pare che il vento stia cambiando. Pare. Il nuovo vaccino antivirus scoperto nel laboratorio di Firenze diventerà ufficialmente una profilassi a tappeto: da gennaio, tutte le squadre si scambieranno la stretta di mano a fine partita, prima di rientrare negli spogliatoi. Esattamente come hanno sperimentato l’altro giorno Fiorentina e Inter. Come avviene da quattrocento secoli nel rugby, nella pallavolo, nel tennis, nell’hockey e pure nel baseball.
La Confindustria del pallone, qui nota come Lega, rompe dunque gli indugi. Da tempo stava pensando a una liturgia di pace tutta sua, nuova e originale, per trasmettere dal campo agli spalti un messaggio di lealtà. Poi si sa com’è: a volte la storia imprime spontaneamente le sue accelerazioni, e i potenti non possono che assecondarla.
Benvenuto al terzo tempo. Qualsiasi tentativo di sedare gli animi e rasserenare l’atmosfera è comunque il benvenuto. Apprezzabile l’impegno. Però conviene dirsi subito che non sarà tutta poesia. Il test di Firenze, che ha inumidito il ciglio a mezza Italia e ha ispirato le cose più alte a tanti commentatori, va davvero considerato alla stregua del test di laboratorio. Condizioni eccezionali, situazione irreale, ambiente estraneo alla realtà. Prima di tutto c’era il ritorno in panchina di Prandelli, un uomo giusto che piange il suo lutto. A seguire, la partita: stradominata dall’Inter, senza un minimo appiglio di ma, se, però. Diciamo partita estemporanea, ad alto tasso sentimentale e a moviolismo zero. Totalmente inattendibile.
Il terzo tempo è atteso a ben altre verifiche, come quelle stupende medicine che fanno tanto bene ai topi, ma che al passaggio sugli umani diventano spesso un patetico fallimento. La prova madre? Quella che tante volte, in varie epoche, in diversi campionati, abbiamo tutti quanti contemplato. Derby romani e torinesi, milanesi e genovesi. Derby del Sud, derby delle Isole, derby dell’Appennino. Derby Pisa-Livorno, derby Atalanta-Brescia, derby Vicenza-Verona, derby Catania-Palermo. Cioè il partitone che per noi e per le nostre fauci assetate di sangue è comunque derby. E che tra l’altro può finire con un rigore fischiato ingiustamente al 94’ da un arbitro cornuto e fetente.
Questo, non Fiorentina-Inter, è il test che aspetta il terzo tempo. È la stretta di mano verso il tunnel degli spogliatoi, la zona franca dove per tradizione i nostri campioni si ritrovano a regolare gli ultimi conti. È la stretta di mano che dovrebbe arrivare dopo una battaglia giocata a gomitate negli zigomi, a sputi in faccia, a entrate da dietro. È la stretta di mano che dovrebbe riunire amabilmente gli Zidane e i Materazzi cinque minuti dopo la testata.
Riuscirà uno sport altamente intossicato, che esce da un secolo di carognate, che insegna ai suoi cuccioli la nobile arte di picchiare l’avversario e di infinocchiare gli arbitri, a trovare improvvisamente il gusto del rispetto? Dicono nell’ambiente: dobbiamo arrivarci. Altri sport ci riescono benissimo. Ed è verissimo. Ma c’è una differenza: gli altri sport rispettano spontaneamente. Il calcio rispetterà per decreto.

Come tutti i sentimenti che non nascono da dentro, anche il terzo tempo rischia di essere una cosa finta, recitata, obbligata. Un gesto di circostanza. Prima di passare tutti al quarto tempo, in diretta tv, per liberare la belva davanti alla moviola.
Cristiano Gatti

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