Un anno di squalifica per Davide Possanzini (Brescia) e Daniele Mannini (ex Brescia, ora al Napoli) per essersi presentati 25 minuti oltre i termini previsti all’esame antidoping di Brescia-Chievo dello scorso anno. Una sentenza decretata dal Tas di Losanna, su ricorso della Wada, dopo che il Tribunale del Coni aveva applicato una pena leggera di 15 giorni. Una sentenza che tiene conto delle attenuanti (ed è stata infatti dimezzata in quanto considerata negligenza non grave), che è assolutamente in linea con la rigidissima normativa che viene applicata in altri sport, ma che è stata accolta come un fulmine a ciel sereno dal calcio di casa nostra.
Che si ribellasse il Napoli (danneggiato oltre tutto senza avere colpe, visto che il fatto è stato compiuto quando Mannini era in un’altra squadra) è comprensibile. Che sbraitasse il Brescia, ce lo si poteva attendere, anche se la leggerezza compiuta dalla società è veramente clamorosa: come può una società professionistica di alto livello commettere un errore così grossolano (quello di non affidare subito i giocatori sorteggiati al commissario antidoping) solo perché il presidente Corioni è furibondo per una sconfitta e decide di chiudere i giocatori per mezz’ora nello spogliatoio per una ramanzina? Persino nei club dilettantistici e amatoriali degli sport più negletti, tutti sanno che i giocatori non possono sottrarsi alla vista dei commissari dal momento in cui finisce una gara al momento dell’espletamento delle funzioni antidoping.
Ma che l’indignazione monti addirittura nelle dichiarazioni del presidente federale ci sembra un po’ fuori luogo. «Una sanzione così pesante per un problema tecnico ci sembra eccessiva», ha stigmatizzato il presidente Abete, annunciando immediatamente ricorso alla Cassazione svizzera. Per non parlare dell’Associazione calciatori che ha definito «aberrante» il verdetto, minacciando persino un durissimo sciopero di un quarto d’ora. E Matarrese «irritato di fronte alla sproporzione di una sentenza esagerata» ha dato man forte a Campana.
Insomma, tutti in linea con Rafa Nadal che accusa la Wada di persecuzioni, solo perché gli chiede la reperibilità come avviene per chi fa atletica, fondo o ciclismo e viene testato alle 5 di mattina magari del giorno in cui partecipa a un’Olimpiade.
Chiedendogli anche un po’ di sangue, non solo di fare plin-plin.Insomma, i «controlli severi» vanno bene solo se li fanno agli altri. Mentre per qualcuno infrangere le regole (sottoscritte da tutti gli sport) è sempre e solo un «problema tecnico».
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