Il calcio “censura” la risata: Thuram condannato dal tribunale del calcisticamente corretto

Il giocatore dell’Inter scambia un sorriso con il fratello che gioca nella Juve ed è costretto a “discolparsi”

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La sai l’ultima sul calcio italiano? Sì, ma non fa ridere… anzi, fa piangere. Inevitabile quando la commedia del pallone rotola nella rete del grottesco. Il paradosso, si sa, è dietro l’angolo (nella fattispecie, il calcio d’angolo), come dimostra quanto accaduto in una piega dell’ultimo Juventus-Inter dove si è arrivati a un punto di non ritorno: “censurare” una risata e, al tempo stesso, stigmatizzarne la sua assenza… Sotto accusa, per entrambi le “colpe”, è finito il medesimo calciatore: Marcus Thuram dell’Inter, “reo”, secondo il tribunale dei moralisti, di “mancata esultanza” dopo aver fatto gol e di “inopportuno sorriso col fratello Khephren” (che gioca nella Juve) al termine del 4 a 3 per i bianconeri. Ma come? - accusano severi i “Signori della Corte” - l’imputato Thuram segna e non sorride, poi segnano gli avversari e lui si mette a sghignazzare col suo consanguineo? Implacabile la condanna: “Marcus chieda scusa a tutti!”; sentenza prontamente eseguita dall’attaccante, già ribattezzato dai tifosi nerazzurri, a mo’ di scherno, “Ridolini”.

Peccato che a finire in fuorigioco sia buon senso. Possibile che un giocatore finisca sotto “processo” (ebbene sì, Thuram si è dovuto discolpare con compagni e società) per una libera scelta? Se Marcus vuol ridere (o non ridere) saranno solo fatti suoi? Invece no. Il footbalmente corretto impone protocolli rigidi, impossibile metterli in discussione. Altro che risata. Quella viene subito bollata come “reazione irrispettosa”. Divertimento e sdrammatizzazione trovano sempre più difficoltà a entrare in campo o sugli spalti, come provano le reazioni violente e rabbiose di certi genitori che assistono alle partite dei figlioletti…).

Figuriamoci poi parlare di ironia o l’autoironia, parole del tutto sconosciute alla quasi totalità di chi ruota attorno al mondo del pallone: giocatori, arbitri,

presidenti, dirigenti e giornalisti, tutti abituati a prendersi cabarettisticamente sul serio. Battute, umorismo, sarcasmo? Macché. Meglio un drammatico cartellino rosso. E vinca il migliore. Nel campionato della tristezza.

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