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Che Silenzi che c'era in Premier: il primo italiano in Inghilterra

Nell'estate del 1995 il centravanti del Toro accetta la corte del Nottingham Forest, facendo da apripista ad un esercito di successori. Spoiler: non andrà benissimo

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Le cose stanno così. Alla Reggiana, in B, ha sbattuto in rete cumuli di palloni. Roba che lo ha issato a cannoniere assoluto in una sola stagione per i granata. Poi nel Napoli di Diego ha annaspato, d'accordo, ma una volta arrivato al Torino si è come riacceso e, redivivo, ha ripreso a mitragliare le porte altrui. Adesso che è l'estate del 1995 e lui ha soltanto sfiorato il Mondiale negli Usa di un anno fa - la Panini gli aveva addirittura preparato la casella - Andrea Silenzi sente di aver già messo via un mucchio d'esperienza e di poter rivolgere il suo sguardo altrove.

Così, quando il telefono trilla e dall'altra parte ci sono quelli del Nottingham Forest, lui non deve pensarci neppure troppo. Vero, la Premier League ha emesso il suo primo vagito soltanto tre anni prima. D'accordo, non ci ha ancora messo piede neppure un italiano. Ma forse è proprio questo il motivo per accettare. Sullo scranno dei goleador ci si è già appollaiato. Ora può essere il primo a raccogliere un'altra sfida. Il lungo apripista delle generazioni successive.

Silenzi Italia
Silenzi nella figurina che lo voleva già certo di andare a Usa '94

Lungo, perché Silenzi oltrepassa il metro e novanta e sa cosa significhi fare a sportellate con le retroguardie avversarie. Segni particolari che entusiasmano il tecnico del glorioso Forest, Clark, che presentandolo si concede di vaticinare un ambizioso orizzonte: "Andrea ha le caratteristiche di un ariete britannico, ma ci aggiunge una tecnica non comune. Segnerà tanto". Previsione cannata di brutto. Silenzi vede la porta col contagocce e fatica un mucchio ad ambientarsi. Nota a margine: i tifosi che si erano sentiti promettere "un attaccante italiano di prima fascia" si aspettavano di vedere Roberto Baggio e restano delusi prima, durante e dopo.

Sulle rive del fiume Trent, Andrea affastella dodici presenze in campionato e zero gol. Quattro ne aggiunge in coppa Uefa e un paio in FA Cup, dove riesce a segnare due gol contro squadre che languono nelle retrovie del calcio britannico. Pare, secondo il racconto dei compagni, che patisca maledettamente la lontananza da casa. Alf Inge Haaland, il padre di Erling, suo compagno all'epoca, rivela infatti che "ad Andrea mancava moltissimo Torino e poi odiava il tè".

Uno stress psicologico che si riflette irrimediabilmente sulle prestazioni in campo. In un campionato che già viaggia costantemente sopra ritmo, Silenzi si muove con i riflessi di una sfinge e finisce a macerarsi nel bel mezzo delle perfide difese d'oltremanica, tutte ruvidità e zero orpelli. Altro che impostazione dal basso, nel '95. L'esito di una simile disfatta sportiva è scontato: pennellone Silenzi torna nel Belpaese, prima a Venezia, poi di nuovo alla Reggiana.

Ma se l'allunaggio del primo italiano in Premier è un brodino ristretto sportivamente ciarlando, stappa tutt'altre considerazioni in termini di appeal generato verso quel contesto. Pur con quella sbilenca comparsata, Andrea dimostra che solcare la Manica si può. La trasmigrazione è appena all'inizio: la frontiera è aperta per i Pistone e i Vialli, per gli Zola, i Di Matteo, i Gattuso e tutti i loro compagni. Come un gol di quelli pesantucci, a ben vedere.

L'italian job nel Regno Unito comincia proprio da qui.

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