Così Silvio Berlusconi ha fatto grande il Milan

Il Cav prese le redini del Diavolo nel 1985: sarebbe diventato il presidente più longevo e vincente della storia rossonera

Così Silvio Berlusconi ha fatto grande il Milan

L'aereo sorvola placido lo spazio che lo divide da St Moritz a Milano. A bordo, quattro personaggi con un disegno nitidamente scolpito in testa. Fuori è il 10 febbraio del 1986. Quando il velivolo atterra, mentre sono ancora sulla scaletta, Silvio Berlusconi si volta verso il fratello Paolo, Fedele Confalonieri e Adriano Galliani: "Avanti, comperiamo il Milan".

Il salvataggio del club e l'inizio di una nuova era

Il club versa, in quel periodo, in acque alquanto agitate. Sprofondato per due anni in Serie B, adesso deve fare i conti con grane finanziarie che stanno mettendo il presidente Giussy Farina sulla graticola. La società potrebbe addirittura essere messa in mora. Lo sconforto, è naturale, prevale tra le fila del tifo rossonero. Vuoti contabili come se piovesse. Una grandinata di ingiunzioni. Roba che scoraggerebbe chiunque. Solo che il Cav dribbla in scioltezza la categoria dell'uomo comune. E poi è tifoso sfegatato del Milan. Un mix che gli impedisce di assistere allo scempio in corso senza fare qualcosa. Il suo avvento diventa in fretta una compressa salvifica per un club malandato. Le prime rapide mosse? Adriano Galliani piazzato Amministratore delegato e Ariedo Braida nuovo Direttore generale. Silvio, intanto, si concede ai microfoni della rivale Rai per raccontare il suo progetto: "I nostri obiettivi? Molto credibili. Vorremmo costruire una squadra che duri nel tempo, tornando con stile e con classe sulle scene nazionali e internazionali". Un destino vaticinato con accuratezza chirurgica. "Il Milan - aggiunge Silvio, sicuro - dovrà sempre scendere in campo per comandare il giuoco".

I primi colpi, Sacchi e lo scudetto

Roberto Donadoni e Daniele Massaro. Ecco i due acquisti con cui esordisce la gestione Berlusconi. Giovani, talenti fulgidi, destinati a diventare pilastri del Milan che verrà. La fisiologica capacità di selezionare fuoriclasse acerbi per svezzarli diverrà marchio di fabbrica del club. In panchina viene confermato il mago svedese Nils Liedholm, ma un vistoso calo primaverile condurrà a riflessioni necessarie. Al suo posto, dopo una serie di risultati deludenti, si insedia ad interim il tecnico della primavera, Fabio Capello. Un interregno destinato a durare il giusto, perché Silvio e i suoi hanno in testa qualcos'altro. Una scommessa da vincere rende tutto più sapido. La loro si chiama Arrigo Sacchi, scintillante tecnico del Parma che ha fatto penare il Milan in coppa Italia. Che sia lui a dettare la rivoluzione lo si intuisce subito: via Claudio Borghi, talentuoso primo acquisto straniero, dentro Ancelotti e Colombo. La scelta si rivela azzeccata. Il 15 maggio del 1988, al culmine di un estenuante duello con il Napoli, i rossoneri sollevano l'undicesimo scudetto della loro storia. Il primo dell'era Berlusconi.

Scudetto

Il Milan degli olandesi e la coppa dei Campioni

Tambureggia, Arrigo, alla porta di Silvio. "Presidente, mi serve un altro olandese". Il Cav esamina le carte e le vhs che il tecnico gli passa, perché - sarà un tratto distintivo della sua gestione - vuole lasciare il segno con indicazioni tecniche, tattiche, morali. Il Milan però fabbrica quel bel giuoco che lui pretende, così decide di accontentare Sacchi. Dentro anche Frankie Rijkaard, al fianco di Gullit e Van Basten. Una squadra già potente diventa quasi draconiana. Con gli olandesi a fluttuare sul campo il Milan strapazza in fretta le contendenti. L'apice di questa inarrestabile crescita viene registrato la notte del 24 maggio 1989: il diavolo divelge i sogni della Steaua Bucarest travolgendola per 4-0 e sollevando la coppa dei Campioni - terza della sua storia - rompendo un digiuno lungo vent'anni. L'anno si conclude in scioltezza con un altro successo: in bacheca viene premuta anche la Supercoppa italiana, grazie al 3-1 in finale alla Samp. Quel Milan apre un ciclo dirompente e acquisisce la stentorea qualifica di "Immortali": bissa il successo nella coppa dalle orecchie prominenti un anno dopo, vince due intercontinentali di seguito e afferra pure la Supercoppa europea. Al Cav brillano le pupille: sala dei trofei che si riempie rapidamente. Squadra che propone un calcio luccicante. Ma la pretesa di perfezione sacchiana inizia a logorare il ciclo.

Coppa Campioni Sacchi

Gli invincibili di Fabio Capello

Silvio si ferma a riflettere. Comprende che gli strepitosi successi conseguiti hanno consumato la fame interiore. Serve una nuova scintilla. La pesca in Fabio Capello, risultatista e motivatore, forse meno bello da vedere rispetto alle suggestioni di Arrigo, ma tremendamente efficace. Il Cav gli compra Lentini dal Toro per 22 miliardi delle vecchie lire, il pallone d'oro Papin e il fuoriclasse montenegrino Dejan Savicevic, eletto in fretta a suo pupillo e difeso a spada tratta, malgrado un inizio incerto. Sarà un'altra intuizione feconda. Non basta: arrivano anche Boban ed Eranio. Non è possibile passare oltre senza accorgersi che si tratta di un disegno limpido. Una virata verso una squadra tecnica senza precedenti. La classe, tanto cercata da Sivio fuori e dentro il campo, è eletta a musa della squadra. Diverrà quello, in fretta, il "Milan degli Invincibili", capace di infilare l'inverosimile striscia di 58 gare senza sconfitta. Perderà una finale di coppa dei Campioni contro il Marsiglia, ma si rifarà con gli interessi in seguito, travolgendo lo sfrontato Barcellona di Cruijff. Arriveranno, con Capello, anche il terzo scudetto di fila e la Supercoppa italiana. Gli olandesi che cominciano a salutare scandiranno il graduale declino del progetto che, tuttavia, conoscerà il suo epilogo con un altro scudetto - il 15° - sotto il segno della nuova stella, George Weah.

I dissidi con Zac e un altro apice con Carletto

Dopo aver vinto molto ripescare internamente le motivazioni giuste non è una passeggiata. Il Milan del Cav si incanala per un po' in una fase interlocutoria, ma l'avvento di un nuovo tecnico, l'effervescente Zaccheroni, riporta entusiasmo. Boban alle spalle di Bierhoff e Weah, una provvidenziale rimonta sulla Lazio e un altro scudetto in bacheca. C'è però una gigantesca scure che pende sulla testa del tecnico, purista della difesa a tre. Silvio la pretende a quattro e non manca di farglielo notare. Le indicazioni tattiche ai suoi allenatori, del resto, sono parte del pacchetto. Zac non ci sta e l'idillio si rompe. Per assistere ad un nuovo periodo di gloria servirà attendere il 2001, quando Carlo Ancelotti rimpiazza l'esonerato Terim. In campo c'è un ucraino che sussurra sentenze mortifere alle retroguardie altrui: Andrij Schevchenko. Arrivano nel frattempo anche Nesta, Seedorf e Rivaldo. Qualità, qualità, qualità. La calma olimpica di Carletto, mista alle inconfutabili doti tattiche e umane, fa il resto. Altra Champions per il diavolo, che si impone ai rigori contro la Juve di Lippi, a Old Trafford. Arrivano anche i trionfi in coppa Italia e, l'anno dopo, il diciassettesimo scudetto. Ma non mancano anche le delusioni cocenti: la notte di Istanbul e quella clamorosa rimonta del Liverpool sono lividi mai leniti. Silvio, allora, scende di nuovo in campo. "Manderò una lettera: da lunedì qualsiasi tecnico del Milan sarà obbligato a giocare con almeno due punte. - dice - Non è una richiesta, è un obbligo". E, ancora: "Si parla del Milan di Sacchi, di Zaccheroni e di Ancelotti e non si parla mai del Milan di Berlusconi. - aggiunge - Eppure sono io che da 18 anni faccio le formazioni, detto le regole e compero i giocatori. Sembra che non esista". Carletto, serafico, incassa. Quella spintina, ad ogni modo, conduce all'ennesima Champions nella notte di Atene: è la settima per il club, la quinta dell'era Berlusconi.

Allegri e l'ultimo scudetto

Si affastellano gli anni, ma il Milan del Cav continua a vincere. Nel 2010 le chiavi della panchin vengono consegnate a Max Allegri e arrivano i Robinho, i Van Bommel, i Cassano e gli Ibrahimovic. Prima ancora era stata le volta del fenomeno Ronaldo e di Ronaldinho. Sintomo che la passione di Silvio per il talento è impossibile da diluire. Con il tecnico livornese torna, dopo sette anni di digiuno, lo scudetto in bacheca, ottavo per Berlusconi. Con il passare del tempo, però, emergono attriti evidenti che esiteranno poi in un attacco frontale al tecnico, dopo una debacle di coppa contro il Barcellona: "Allegri? No el capisse un casso", sentenzierà il Cav.

L'addio nel 2017

Al culmine di lunghe trattative, nell'aprile del 2017, la famiglia Berlusconi decide di cedere il club alla cordata cinese guidata dall'imprenditore Yonghong Li. Le motivazioni sono racchiuse in una toccante lettera d'addio. "Ancora grazie a tutti. - scrive Silvio - lascio oggi, dopo più di 30 anni, la titolarità e la carica di presidente dell'A.C. Milan. Lo faccio con dolore e commozione, ma con la consapevolezza che il calcio moderno, per competere ai massimi livelli necessita di investimenti e risorse che una singola famiglia non è più in grado di sostenere".

Resta, indelebilmente scolpita nell'immaginario collettivo, la formidabile impresa di un presidente che ha raccolto un club derelitto, lo ha trasformato e lo ha condotto sul tetto del mondo.

Trent'anni di trionfi, certificati da 8 scudetti, una Coppa Italia, 7 Supercoppe italiane, 5 Champions League, 2 Coppe Intercontinentali, un Mondiale per club FIFA e 5 Supercoppe Europee. Il Cav e il Milan, una fantastica storia d'amore.

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