Qatar 2022

Cosa resterà del Mondiale in Qatar

La rassegna iridata va in archivio: ci lascia in dote un quantitativo di emozioni inatteso, insieme al dilemma irrisolto di una scelta appannata

Cosa resterà di questo Mondiale in Qatar

Pareva lontanissimo, invece è già finito. Il mondiale qatariota è pronto a passare in archivio, ma lo fa avendo parzialmente sovvertito i pronostici. Chi si illudeva che questa fosse una rassegna in tono minore è stato smentito, anche perché – almeno per quel che concerne la pletora mediatica – non si è mai rivelato avido di notizie e colpi ad effetto. Imposto, contestato, capace di sollevare questioni etiche e inchieste internazionali, ma anche di sfoderare le ragioni sportive delle sfavorite.

È stato un Mondiale abrasivo, perché alla fine ce lo siamo sorbito con malcelato interesse, pur coltivando la consapevolezza interiore che il lato calcistico si accompagnasse a decisioni discutibili. Di sicuro non è stata, però, un’esperienza da posto passeggero. Ripercorriamola con un campo largo.

Il Mondiale delle contraddizioni

Prima ancora che iniziasse Qatar 2022 era già il Mondiale delle polemiche, delle prevaricazioni denunciate, dei diritti negati. L’accusa di aver provocato una strage di operai per la costruzione di monumentali cattedrali nel deserto, quella – inconfutabile – di aver bollato l’omossessualità come “un danno mentale” con uno dei suoi ambasciatori, le sanzioni minacciate per chi – calciatore o spettatore – indossasse un segno arcobaleno. Salvo poi, Infantino docet, sorprendersi “gay e migranti” davanti alle tv. Si indagherà anche sulla morte di due giornalisti, uno dei quali aveva apertamente dichiarato lotta senza quartiere alle discriminazioni. Conta meno, ma è certo un’altra ipocrisia formato gigante, il fatto che lo sponsor della manifestazione sia stato uno dei principali produttori di birra al mondo: tutto bene, salvo che in Qatar vigeva il divieto di berla. Il Qatar Gate pare adesso la coda di un terrificante Leviatano.

Germania

La rassegna delle sorprese

Se lo si contempla meramente dal punto di vista sportivo, è stato senz’altro il Mondiale delle sorprese. Il Marocco in semifinale. Il Giappone che prende a calci le big del pallone europeo. La Croazia data spesso per dead team walking e che invece se la gioca fino in fondo. Come sciabolare un flûte effervescente: per una volta gli sfavoriti galleggiano in superficie, spingendo a fondo le vecchie glorie. Vale dunque anche al contrario: il tonfo della Germania, la caduta delle divinità brasiliane, lo sbriciolamento del Belgio. Non c’è dubbio che questa rassegna abbia eroso le certezze faticosamente acquisite nel tempo.

Marocco

Un Mondiale di plastica

I tifosi fake non li avevamo mai visti. Un esercito di incalliti cosplayer dalle nazionalità più disparate, pronti ad ingaggiare battaglia in nome di una fede temporanea. Pakistani che sostengono la Germania, srilankesi al soldo dell’Inghilterra, indiani matti per il Brasile e via andando. Un campionario che sarebbe stato anche divertente non fosse per quel gesso che riga i pensieri e suggerisce sentimenti di plastica. La redditività delle emozioni inamida di squallore un Mondiale premuto a forza dentro ad un contenitore inadatto.

Tifosi

The Last dance: Lionel e Cristiano

Uno potrà ancora provarci, l’altro è stato prematuramente estromesso. Qatar 2022 è stato, seppur involontariamente, anche l’ultimo Mondiale dei due dominatori assoluti degli ultimi quindici anni. Dovesse sollevare quella coppa soltanto sfiorata nel 2014, Messi potrebbe davvero proclamarsi il più grande di sempre. Per Ronaldo sfuma l’obiettivo della vita. Anche il Portogallo ha deciso di relegarlo a tratti in panca. Triste epilogo per un campione totale, probabilmente pronto a consolarsi sguazzando in vasche olimpioniche di petroldollari. Il testimone passa adesso a Mbappè, protagonista fino alla fine di questa edizione, e ad Haaland: lui mancava, ma il futuro gli appartiene.

Ronaldo

Senza Italia

Un Mondiale privato dell’Italia non può scaldare il cuore. Lo abbiamo intravisto, magari c’è chi si è appassionato più della media, ma resta comunque un posto insipido da frequentare. Il sogno svanito contro la Macedonia del Nord fa ancora sanguinare. Resta il pensiero che i ragazzi di Mancini, pur da campioni d’Europa, avrebbero faticato parecchio ad imporsi: spuntare tra le corazzate e le outsider pareva una missione oggettivamente intricata. Non lo sapremo mai e forse è meglio così. Ora parte la rincorsa al prossimo ed esserci è già un imperativo categorico.

Perché un Mondiale senza Italia è una pizza cosparsa di ketchup.

Mancini

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