Calcio

"God... bye". Il commovente addio di Ibra al calcio

Il saluto di ieri al Milan sancisce anche l'epilogo di una carriera lunga 24 anni, scandita da un carattere debordante e giocate decisive

"God... bye". Il commovente addio di Ibrahimovic al calcio

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Chissà se avrà conservato la lucidità, mentre le pupille diventavano rapidamente acquose, per riavvitare tutto il nastro all'indietro. Per tornare a quel cielo inciso d'acciaio del settembre 1999. Ventiquattro anni fa. Pareva un fuscello che fluttuava per il campo. I primi colpi però già si intravedevano. Era l'incipit svedese di una carriera che si stagliava tutta davanti. Zlatan Ibrahimovic aveva cominciato così, con la maglia del Malmo, la sua lunga campagna di conquista. In cameretta aveva appeso il poster di Ronaldo, il Fenomeno. E, certo, la sua sarebbe apparsa esuberante protervia giovanile, se avesse osato pensare anche soltanto ad un decimo di quel che sarebbe riuscito a diventare.

Però ieri, circondato da un flusso emotivo che non lo puoi mica dribblare, ha probabilmente scelto di abitare il momento. A salutarlo uno striscione dei tifosi, per lui che si è sempre definito un dio: "God... bye", troneggia dagli spalti. Al centro di San Siro prima, in conferenza stampa poi. Un saluto al Milan che coincide con l'addio al calcio giocato. Dura, durissima per uno del suo calibro interiore. Comprimere d'un tratto tutto l'ego sgorgato in questi anni luccicanti, pur giustificato dalla sua essenza di fuoriclasse vero, è una questione intricata. Dovrà farcela comunque, e non c'è dubbio che le nuove sfide che lo attendono le addenterà tutte con il consueto animo di chi, per autoproclamazione perenne e chiara fama, si sente il primo vicino di casa del divino.

"Oggi mi sono svegliato e pioveva. Ho pensato 'anche Dio è triste'. Non l'avevo detto a nessuno, nemmeno alla mia famiglia. L'emozione è stata troppo forte. Sembravo uno zombie che non parlava e non scherzava. Tre mesi fa sarei stato nel panico, ora lo accetto. Chiaramente sono anche triste, ho fatto questo per tutta la mia vita. Il calcio mi ha fatto diventare uomo".

Mai banale, Ibra, nemmeno quando c'è da tenere a bada lo sciabordio dei pensieri nel giorno più malinconico e felice al contempo, quello del commiato. Congedarsi a Milano, sponda rossonera, è tuttavia una zaffata di conforto. Gli consente di calciare via la panzana del tempo che scorre per tutti, almeno per un giorno. "Questa squadra è diventata la mia famiglia. Da due figli a casa, ne sono arrivati altri venticinque. Mi mancherà lo spogliatoio, e mi mancherà anche la strada per Milanello. Sono Superman, ma ho anche un grande cuore. Momento più bello del Milan? Una finale come oggi non me lo sarei nemmeno potuto sognare, ma tutti i momenti sono stati belli. Ogni giorno. Se ho avuto offerte? Sì, ma se hai deciso di smettere le offerte non interessano più".

Triste lasciare il cortile di casa. La prima volta era stata tredici anni fa. Lui all'apice della condizione, draconiano, spumeggiante. Il ritorno, romantico ammennicolo soltanto per chi ha disabilitato la funzione dei sogni, era coinciso con l'età della leadership acquisita. Della consapevolezza. E pazienza se quest'ultima stagione l'ha praticamente contemplata dalla tribuna. La sua sola presenza nello spogliatoio spostava gli equilibri.

La sua legge, Zlatan, l'aveva imposta in precedenza in tutto il vecchio continente: Ajax, Juve, Inter, Barcellona, PSG, Manchester United. Poi anche una coda a Los Angeles: sembravano i titoli di coda, ma aveva ancora un ruggito in serbo. Ovunque porte sfondate, retroguardie infrante, modi da simpatico smargiasso. Giurava, ieri, che un altro come lui in futuro non ci potrà più essere. Nel frattempo penserà a come stare in campo in questo secondo tempo: "Allenatore o dirigente? Lascio il calcio giocato, non il calcio. Ora serve prendere tempo, non serve decidere subito, rifletterò. Essere allenatore o dirigente è una grande responsabilità, non come da giocatore. Essere stato un grande calciatore non significa che sarei un top anche in panchina".

Mentre rivolgeva un pensiero a Mino Raiola e uno al Milan, la famiglia per sempre, il vecchio leone rilanciava. Sicuro che, sceso dalla giostra, rimarrà comunque nei paraggi. Nel frattempo è giusto socchiudere le palpebre per godersi l'ultima scia del giro appena finito.

Non è mai diventato quel poster appeso in camera, ma ci è andato molto vicino.

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