Calcio

L'ultimo imperatore

I mondiali vinti da calciatore e ct, i palloni d'oro, l'eleganza di chi il calcio lo prevedeva e Italia-Germania 4-3: di cui non voleva mai sentire il risultato

L'ultimo imperatore

Der Kaiser ist tot. Il kaiser è morto. Franz Beckenbauer lascia il mondo dopo settantotto anni di vita tra glorie e tormenti. È stato il fussball, è stato la Germania, nessun altro come lui nel football tedesco, nessun altro può essere paragonato a Kaiser Joseph, il cui busto, collocato in un albergo di Colonia, offrì ai fotografi il colpo del secolo, mettere di fianco, uno all`altro, i simboli di un`epoca, di una nazione. Un bavarese perfetto, l`altra fetta della grande Germania, Shau`n mer mal, stiamo a vedere, era una frase tipica del suo dire e della gente di Baviera che lui aveva abbandonato per trasferirsi, da Grunwald a Samen in Svizzera poi in Tirolo, quindi in uno splendido chalet a Kitzbuehel, infine a Salisburgo dove aveva anche aperto un ristorante. Una leggenda si usa dire, mai come nel caso suo il sostantivo è aderente all`immagine offerta dal campione sui campi di calcio, con la maglia del Bayern di Monaco e con quella della Mannshaft, la nazionale tedesca.

Era nato nel settembre, giorno undici del `45 quando l`aria di quella terra odorava ancora dei fumi della guerra, a maggio c`era stata la resa incondizionata. La sua casa stava al civico 6 di Zugspitzstrasse, nel quartiere di Giesing al tempo un sito di operai ma con uno dei tramonti più belli di tutto il Paese, ogni tanto Franz voleva ricordarne la magica luce pre serale. Giesing era la terra dei leoni, cioè dell`altra squadra della città il Monaco 1860 ma queste per lui erano fiabe infantili. Era figlio di Franz, lo stesso nome, dipendente delle poste e di Antonia, il fratello Walter era più vecchio di quattro anni. Giocare al calcio fu la semplice scelta per un ragazzo dai ricci capelli e il fisico asciutto ed elegante, la culla del Bayern fu la sua prima e unica grande cuccia nella quale vivere, crescere e diventare il campione di sempre. Giocava difensore, sapeva calciare con entrambi i piedi, aveva equilibrio nei movimenti, quasi sormontasse il campo, sapendo orientare il pallone, intuendo le soluzioni migliori, di lui disse Hans-Georg Schwarzenbeck, un altro dei protagonisti del calcio tedesco: «Franz non guardava il pallone, lo percepiva con il piede». Era questa la sua arte, sapeva un attimo prima quello che altri avvertivano qualche secondo dopo, era il tempo del direttore d`orchestra, era la sapienza tecnica trasferita nel ruolo tattico di libero, quando questa funzione aveva ancora il suo significato nella lettura del gioco, non soltanto difensivo.

Tra i cento fotogrammi di Italia-Germania quattro a tre, uno su tutti è passato alla storia, quasi alla mitologia, era il minuto 65 di quella semifinale del mondiale messicano, quando Franz Beckenbauer, dopo un contrasto di gioco, cadde, giacendo a lungo per il dolore. Si fece curare dal massaggiatore e dal medico che gli fasciarono la spalla, Franz volle tornare in campo e giocò con il braccio destro legato alla spalla lussata, le bende coprivano appena il numero 4 della maglia, non volle fermarsi anche perché erano già state effettuate le due sostituzioni, allora previste dal regolamento, restò dunque in partita e gli azzurri cercarono, inconsciamente, di evitare ogni contatto feroce. L`epica di quell`incontro ha memoria in una lapide nello stadio Azteca di Città del Messico, Franz non aveva mai voglia di ricordare il risultato che, ancora una volta, premiava gli italiani. Con l`Italia mantenne un contatto estivo, la Val di Non, il lago di Garda, mete classiche per la gente di Germania, luoghi di ritiro delle squadre e della stessa nazionale che Franz guidò nel mondiale del 1990, vinto nella finale di Roma. Stava come un monumento nello spogliatoio di San Siro, la sua squadra contava attori imponenti, Matthaus, Brehme, Klinsmann, quest`ultimo non gradì la sostituzione nella partita contro l`Olanda, l`attaccante, furibondo, scagliò una scarpa contro la vetrata dello stanzone, mandandola in frantumi: «Ecco, lui pensa di essere il Pelé bianco...» disse rivolto a me testimone, al tempo facevo parte dell`organizzazione del mondiale. Klinsmann avvampò nelle gote e chinò la testa, chiedendo scusa.

Beckenbauer era uomo di temperamento ma gestito con l`austerità e la consapevolezza del fuoriclasse, dietro questa immagine vicina alla perfezione si muoveva, in verità, un altro Franz, intelligente e furbo o furbastro, fu coinvolto in guai fiscali, roba seria e grave per la testa dei tedeschi. Era a metà degli anni Settanta quando scoppiò un caso di tasse ed emolumenti non chiari, c`era il rischio, secondo leggi ed abitudini tedesche, di finire al gabbio, Beckenbauer se ne andò in America, l`avventura dei Cosmos di New York era l`Arabia Saudita di oggi, denari e gloria facile per lui, Pelé, Bobby Moore, Giorgio Chinaglia. Anni belli e terre lontane, ultimi fuochi da calciatore, un rientro all`Amburgo per raccogliere altri marchi di gloria, di nuovo nella Grande Mela. La Germania lo richiamò all`impegno principale, la nazionale, un anno mondiale ma il kaiser aveva voglia e interesse di portare a casa altri ingaggi, dunque i club, Marsiglia con l`Olympique di Tapie e quindi il Bayern, fino al 1986, giusta chiusura del cerchio: 5 campionati in Bundesliga, 4 coppe di Germania, 3 titoli con i Cosmos, 3 coppe dei campioni, 1 coppa delle coppe, 1 intercontinentale, 1 campionato europeo nel 1972 e un mondiale nel 1974. Da allenatore: 1 titolo con il Bayern, 1 coppa Uefa, 1 mondiale a Italia ?90, due palloni d`oro, vita intensa fuori dai campi di football, tre matrimoni, cinque figli, otto nipoti.

La storia aspra degli anni Settanta si è ripetuta per il mondiale assegnato dalla Fifa alla Germania e vinto dall`Italia nel 2006, scandali di denari facili, non meglio individuati e ancora nuove oscurità per il torneo in Qatar con una frase inopportuna «Non ho visto schiavi laggiù», un viale del tramonto reso ancora più grigio e poi infinitamente buio dalla tragedia di Stephan, il figlio allenatore delle giovanili del Bayern, morto per un tumore al cervello nel 2015, all`età di 46 anni. Fu quello, per Franz, l`inizio della fine, due fulmini profondi al cuore, un infarto all`occhio destro, la quasi cecità dell`uomo che aveva visto la luce. Franz Beckenbauer se ne è andato qualche ora dopo Mario Zagallo.

Il calcio ha due pagine vuote e una grande storia scritta per sempre.

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