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Mancini, addio all'Italia: 7 curiosità che (forse) non sapevi sul suo conto

Clamorosa rottura tra il tecnico e la nazionale: ecco alcune cose che forse non hai mai sentito sull'ormai ex allenatore degli azzurri

Foto Ansa
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Mancini, addio l'Italia: 7 curiosità che (forse) non sapevi sul suo conto

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Un lampo che incide il cielo terso e scuote la calura agostana. Mentre mezza Italia se ne sta a mollo o si refrigera in montagna, ecco la notizia che giunge solenne tra capo e collo. Di quelle vere, cioè inattese. Roberto Mancini ha rassegnato le dimissioni da ct degli azzurri. Le motivazioni arriveranno probabilmente nelle prossime ore, ma intanto la Federazione pare fare spallucce: "Già al lavoro per il sostituto". Cogliamo allora l'improvvido assist e spolveriamo 7 cose sul mister che forse non sapevi. O magari non rammenti.

New York costa cara

Il rapporto con la nazionale è stato per certi versi sempre tormentato. Da giocatore, era il 1984, durante una tournée con gli azzurri decise di lasciare l'albergo nottetempo per godersi a pieni polmoni le seduzioni della Grande Mela. Risultato della bravata? Devastante. Il ct Enzo Bearzot scoprì la fuga e per lui la convocazione divenne un miraggio per un bel pezzo.

Il tifo per la Juve

Questa è per pochi. Da ragazzino il Mancio tifava i bianconeri. Osservava in particolare le movenze sinuose di Roberto Bettega, un altro che aveva un formidabile feeling con lo specchio e che, a tutti gli effetti, era l'idolo di Roberto. Nel corso del tempo, come a volte accade, le pulsioni giovanili si diluiscono. E magari subentrano nuovi amori. Come la Samp.

"Cucciolo" alla Samp

Già, il Doria. A quei tempi, pur giovinastro, era entrato a pieno titolo nella ristretta cricca di quelli che comandavano lo spogliatoio di quella squadra scintillante. Potere dei mezzi tecnici: "Ok, è piccolo, ma ci sa fare troppo. Ascoltiamolo", dicevano gli altri. La banda al gran completo era solita riunirsi al ristorante "Edilio". Si facevano chiamare i "Sette Nani". E lui, per ragioni anagrafiche, era forzatamente Cucciolo.

Figlio di due padri

Roberto Mancini pare essere nato due volte. Una biologicamente, l'altra alla Samp. Dove trovò un uomo e un presidente, Paolo Mantovani, che lo elesse a vero e proprio figlio adottivo. Lo confermerà lo stesso Roby in una accorata lettera pubblica, scritta in occasione della scomparsa del patron. "Caro Presidente, grazie ancora per avermi trattato come un quinto figlio e per avermi fatto il complimento più bello della mia vita, quel spero che tu possa avere un figlio uguale a te".

British Mancio: Leicester prima di Manchester

Un formidabile feeling è quello che scocca tra Roberto e l'Inghilterra. Dapprima come giocatore, con le Foxes, il Leicester. Ma lì si trattava della coda della sua luccicante carriera. Il vero boom si manifesta in panchina. A Manchester, sponda City, custodiscono ancora tutti in fondo al cuore quel successo da bypass coronarico indotto della stagione 2011-12, con il titolo sollevato grazie alla rete all'ultimo minuto utile del Kun Agueroooo.

Questione di stile

Quando pensi al Mancio, associ sempre un'idea di eleganza innata. Assonanza certificata dallo stile con il quale si è sempre manifestato in pubblico, così come da quel background sartoriale: ai tempi della Samp riuscì a insistere a tal punto da occuparsi lui delle divise sociali. Sceglieva personalmente i tessuti e il taglio. Stilosi si nasce.

Quella lettera mai arrivata dal Milan

Troppo forte Mancini, fin da giovanissimo, per non essere notato da una big. Di fatto nel 1977 il Milan lo provina e alla fine della giornata i dirigenti gli dicono: "Sei dei nostri, aspetta soltanto la lettera di conferma che manderemo alla tua società sportiva". Mancio torna nella sua Jesi al settimo cielo, ma l'euforia si trasforma presto in profonda mestizia. Quella lettera non arriverà mai.

Motivo? Il Milan sbagliò l'indirizzo e non se ne fece nulla.

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