Quel nesso profondo tra calcio, politica e potere

Narcís Pallarès-Domènech, Valerio Mancini e Alessio Postiglione sono da oggi in libreria con "Calcio, politica e potere. Come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici", saggio in cui si analizzano le ricadute globali dello sport più popolare e il ruolo di potere, economia, propaganda nelle sue dinamiche

Diego Armando Maradona e Fidel Castro. Il legame personale che univa il Pibe de Oro e il Lider Maximo è uno degli esempi più noti di osmosi tra calcio e politica
Diego Armando Maradona e Fidel Castro. Il legame personale che univa il Pibe de Oro e il Lider Maximo è uno degli esempi più noti di osmosi tra calcio e politica

Su gentile concessione degli autori pubblichiamo oggi un estratto del saggio di Narcís Pallarès-Domènech, Valerio Mancini e Alessio Postiglione, edito da "Mondo Nuovo", "Calcio, politica e potere. Come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici".

Il calcio non è solo uno sport, ma un vero e proprio strumento di soft power da parte di Stati e gruppi di interesse. Uno strumento geopolitico, utilizzato dalle potenze economiche e politiche, ed esso stesso un attore geopolitico globale. In un mondo in cui le potenze economiche dettano le proprie condizioni agli Stati e alla politica, il calcio, essendo un grande business, domina il mondo.

Il calcio vanta un giro d’affari di 28,4 miliardi di euro1 La Premier League comanda la classifica con 5,5 miliardi di valore complessivo. Seguono, Bundesliga e Liga spagnola, con 3 miliardi e 2,95 miliardi. Il calcio italiano genera invece 2,5 mld; il 12% del PIL del calcio mondiale viene prodotto in Italia: offre lavoro a 40mila persone e un contributo fiscale di 1,2 miliardi. I “big five”, i 5 campionati europei principali – in ordine di grandezza: quello inglese, tedesco, spagnolo, italiano e francese –, hanno prodotto un fatturato di € 15,6 miliardi nel 2022, un risultato inferiore rispetto ai 17 miliardi conseguiti prima che esplodesse la pandemia, nella stagione 2017/2018, ma comunque indicativo della forza del pallone.

In tempi in cui trovare pochi milioni per potenziare la scuola o la sanità è sempre più difficile, l’economia del calcio surclassa quella di molti Stati sovrani. Il calcio muove interessi, fa battere i cuori: è più diffuso delle principali religioni monoteistiche e della democrazia liberale. I telespettatori complessivi dei Mondiali del 2018 sono stati pari a 3.572 miliardi, più della metà della popolazione mondiale di età pari o superiore a quattro anni.

Gli Stati utilizzano il calcio per affermare la propria esistenza: l’Uruguay, nato come Stato cuscinetto fra Argentina e Brasile per separare le pretese coloniali di spagnoli e portoghesi, alla luce anche del ruolo dell’Impero britannico che ne favorì la nascita, organizzò e vinse il primo mondiale nell’anno del suo centenario, per affermarsi cme nazione, in senso geopolitico e identitario.

Mussolini organizzò il secondo Mondiale per mostrare al mondo i risultati del regime fascista. L’organizzazione del Campionato, che l’Italia vinse, non fu semplice, ma si trattò di un evento a cui il Duce, esperto di comunicazione e manipolazione delle masse, aveva – giustamente –, dato molto peso. Gli azzurri di Pozzo bissarono la vittoria iridata – anche in questo caso connotata politicamente –, quattro anni dopo.

Celebre fu la partita Francia – Italia dei quarti, giocata in casa dei transalpini, a Marsiglia, allorquando tutti gli antifascisti, a cominciare dagli esuli italiani, tifavano per i bleus. L’Italia, provocatoriamente, scese in campo con tanto di maglia nera – succederà nella storia della nazionale italiana 5 volte –, facendo il saluto romano. L’Italia si impose 1–3 e avrebbe concluso il suo percorso trionfale – una vera e propria apoteosi fascista –, battendo in semifinale il Brasile del grande Leonidas, e, in finale, l’Ungheria per 4–2. Per uno scherzo del destino, l’Italia si laurea campione allo Stadio Colombes, quello di Fuga per la Vittoria, il celebre film di John Huston interpretato da Pelé, che, anni dopo, avrebbe narrato la “partita della morte”, fra nazisti ed antifascisti.

Non è un caso che gli Stati totalitari utilizzassero indifferentemente mezzi di comunicazione, cinema e sport per influenzare le masse. Nei Mondiali di Francia del ’38, comunque, l’Italia ebbe sempre tutto il pubblico di casa e neutrale contro.

Gli Stati utilizzano il calcio per proiettarsi geopoliticamente: il Mondiale in Giappone e Corea del Sud è servito per far emergere la centralità del Pacifico, rispetto ai vecchi assetti atlantici; Brasile, Sud Africa e Russia, economie emergenti del cosiddetto gruppo dei BRICS, hanno organizzato gli ultimi Mondiali per mostrare al mondo il proprio nuovo status. Con il Qatar si afferma il protagonismo dei Paesi del Golfo e, soprattutto, l’Islam politico, rappresentato proprio dal piccolo emirato e dalla Turchia, dove governano forze vicine ai Fratelli Musulmani.

Non sono solo gli Stati ad utilizzare geopoliticamente il calcio ma anche le nazioni senza Stato. È il caso delle nazionali di Catalogna, Québec e Kurdistan.

La Palestina, semplice osservatore presso l’ONU, è membro a tutti gli effetti della FIFA, dove siedono anche Macao e Hong Kong, inglobate dalla Cina secon do il principio “un Paese due sistemi”; la FIFA ha concesso una nazionale perfino a Taiwan, la cui indipendenza e sovranità non è stata mai riconosciuta da Pechino. Diverso il caso di Scozia, Galles e Irlanda del Nord, che pur non esistendo più politicamente indipendenti e sovrane, inglobate nel Regno Unito, “rivivono” nel pallone.

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