Mondo nel pallone

La notte che ha cambiato il Milan di Berlusconi e il calcio internazionale

Il trionfo in Coppa dei Campioni nel maggio del 1989 ha inciso profondamente sia sulla storia del Milan che su quella del calcio italiano e internazionale

La notte che ha cambiato il Milan di Berlusconi e il calcio internazionale

C'è una notte destinata a rimanere per sempre nella storia del Milan di Silvio Berlusconi, è quella del 24 maggio 1989. A Barcellona i rossoneri conquistano la loro terza coppa dei campioni, la prima però da quando il patron della Fininvest è alla guida della società. E visto che il Milan di Berlusconi è sinonimo soprattutto di notti europee, nel capoluogo catalano forse si può dire che ha inizio la parte più importante della storia recente del club.

Ma in quella serata di maggio, inizia anche una fase diversa per l'intero calcio italiano. E non solo per come matura la vittoria rossonera sul campo, con la squadra plasmata dai moduli offensivi di Arrigo Sacchi. In realtà le novità più importanti si hanno a livello societario: il trionfo di Barcellona, pone il Milan come un club modello. Un esempio da imitare ed emulare. Da allora, il nostro calcio e quello internazionale hanno iniziato percorsi di profondo mutamento.

L'arrivo in elicottero del luglio 1986

Le intenzioni di Silvio Berlusconi si capiscono il primo luglio del 1986, quando plana letteralmente nel primo raduno del Milan della sua gestione. Arriva infatti in elicottero all'Arena Civica, un luogo del cuore per i tifosi rossoneri: qui si allenava la squadra di Nereo Rocco, simbolo di un passato vincente ormai troppo lontano in quel momento. Il Milan, in quella calda estate, proviene da un decennio fatto di due retrocessioni, non vince lo scudetto da sette anni, mentre la Coppa dei Campioni manca dal 1969, quando i tifosi vedono le partite ancora in bianco e nero.

Iniziare dall'Arena Civica ha quindi un grande valore simbolico e di accostamento a una tradizione che si vuole rispolverare. Ma iniziare con l'arrivo in elicottero, è sintomo della volontà di imprimere al club una dimensione diversa. Anche l'inizio di un ritiro diventa motivo di pubblicità, di articoli da prima pagina, di spettacolo a favore di telecamere. Da lì a breve, non solo il Milan ma l'intero calcio italiano sono quasi costretti a fare di questo sport un nuovo ramo dell'intrattenimento.

Nell'estate 1988 Berlusconi parlava di campionato europeo

Berlusconi nel 1986 è già famoso per le sue imprese televisive. Oramai il suo obiettivo di spezzare il monopolio legato al servizio pubblico è realtà, la sua Fininvest opera sul mercato e i programmi iniziano ad avere importanti indici di ascolto. Dagli Usa arriva il termine show-business: è esattamente quello che fa Berlusconi nei suoi canali e poi nella sua squadra di calcio. Si fa business con l'intrattenimento, si fa impresa con il mondo del pallone. Il tutto però deve essere legato ai risultati. E questi, per ottenerli, a loro volta devono dipendere da un'intensa programmazione.

Nella stagione 1986-87 non si parla di scudetto, l'ambizione è risanare la società e arrivare almeno in Europa. Al titolo occorre però pensare l'anno successivo. In panchina arriva il romagnolo Arrigo Sacchi, pescato in Serie B dal Parma. Predica un calcio diverso, fatto di difesa a zona e molto pressing. L'inizio non è promettente, ma una rimonta nei confronti del Napoli di Maradona campione d'Italia uscente riaccende le speranze. Al San Paolo il primo maggio 1988 va in scena lo scontro diretto, risolto in favore del Milan con il punteggio di 3-2. C'è il sorpasso decisivo che consente, due settimane dopo, di festeggiare il primo scudetto dell'era berlusconiana.

Il modello Milan inizia quindi a funzionare. E, soprattutto, inizia a incuriosire. Passano pochi giorni e il 17 maggio Berlusconi viene intervistato dal Corriere della Sera. La visione del patron rossonero è chiara: il calcio del futuro deve guardare alle grandi sfide europee. “Nelle coppe europee – dichiara – prevale l’imponderabile. Dobbiamo trasformarle in un campionato continentale, con certezze gestionali ed economiche per le società. Andremmo a giocare sempre a Madrid, Barcellona e Lisbona, non in qualche paesino sperduto di provincia”.

Una dichiarazione ripresa molti anni dopo quando, nella primavera del 2021, alcuni club (tra cui lo stesso Milan, oramai però fuori dalla gestione Berlusconi) fondano la mai partita Superlega. L'intento del patron Fininvest è chiaro: il calcio deve essere a misura di business, i grandi club devono ottenere introiti certi e i calendari devono adeguarsi a una nuova realtà di pubblico che si aspetta sfide più costanti e continue tra i più importanti blasoni del Vecchio Continente.

A condividere quella idea, come sottolineato anni dopo da alcuni collaboratori di Berlusconi, anche l'allora presidente Mendoza del Real Madrid. I due, pur d'accordo, non avanzano mai proposte ufficiali. Anche perché la Uefa nel frattempo alcune riforme le inizia a mandar avanti: da lì a pochi anni, precisamente nel 1992, si arriverà al formato che prevede due gironi di quattro squadre per decidere le due finaliste di Coppa dei Campioni (Champions League dall'anno successivo). Poi, sul finire di quel decennio, arriverà anche l'apertura alla partecipazione delle migliori squadre piazzate nei vari campionati e il torneo non diventa più appannaggio solo dei campioni nazionali.

Il trionfo di Barcellona

Intanto però il Milan di Sacchi e Berlusconi deve portare a termine la seconda parte della “missione”: trionfare in Europa. Sembra già tutto finito al secondo turno, quando nella nebbia di Belgrado i rossoneri sono sotto di un gol ed eliminati contro la Stella Rossa. Ma proprio la nebbia determina la sospensione del match. Si recupera il giorno seguente, il regolamento impone di ripartire dallo 0-0. Il Milan questa volta riesce a pareggiare, l'1-1 obbliga le due contendenti ad andare ai rigori dove a spuntarla sono i rossoneri. Ai quarti di finale la squadra di Sacchi elimina il Werder Brema, in semifinale arriva una storica cinquina rifilata a San Siro ai danni del Real Madrid.

Si arriva così al Camp Nou di Barcellona, sede della finalissima. La voce di Bruno Pizzul commenta la sfida, la Rai detiene ancora i diritti per seguire il trofeo più importante. Di fronte c'è la Steaua Bucarest, esponente di un calcio rumeno in crescita e vincitrice della Coppa tre anni prima. In campo non c'è storia: doppietta dei due olandesi Gullit e Van Basten e il Milan dopo 20 anni torna a essere campione d'Europa.

Il calcio italiano adesso guarda solo al Milan: il modello di società voluto da Berlusconi e il modello di gestione di club imposto in quei primi tre anni di presidenza, nel corso degli anni cambiano la storia del movimento.

Il modello Milan esportato nel calcio italiano e internazionale

Il calcio come show-business, i club come aziende che devono pianificare e pensare non solo alla gestione sportiva ma anche a quella economica: il modello del Milan acquista sempre più notorietà. Tutto parte dalla notte di Barcellona, ma prosegue poi con il bis della Coppa dei Campioni nel 1990 e i successi di Fabio Capello. Nel frattempo in Europa si modificano i formati delle competizioni, partono le dispute per i diritti televisivi, inizia quindi una nuova fase e una nuova era.

Certo, non tutto ha a che fare con il Milan e con Berlusconi. Le pubblicità sulle magliette c'erano già da prima, gli sponsor a bordocampo, gli affari miliardari per l'organizzazione dei tornei più importanti erano parte del mondo del calcio già da tempo. E in Inghilterra si pensa già a un nuovo campionato e alla nascita dell'odierna Premier League. Forse quella prima parte di era Berlusconi ha semplicemente perfezionato e accelerato un percorso già in atto.

Un percorso non sempre visto in chiave positiva. Il business applicato al pallone più volte fa parlare di deriva del calcio, di snaturamento di questo sport che si basa, ancora oggi, sulla passione di milioni di tifosi, anche nella bistrattata ma mai doma provincia.

Una passione però che, per mantenersi, ha bisogno anche dei soldi.

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