Quintini, il portiere più basso di sempre che faceva impazzire i romanisti

Alto soltanto 168 centimetri, rimase in giallorosso per sette stagioni. Anche se giocò poco conquistò il cuore dei tifosi per il suo carattere da trascinatore

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Figurarsi come lo avrebbero bollato nel calcio moderno, consacrato sull'altare dell'atletismo esasperato e della stazza. Dell'esplosione muscolare che diluisce il gesto tecnico. Oggi Francesco Quintini sarebbe apparso come un extraterrestre. Ma come? Vuoi fare il portiere e sei alto soltanto 168 centimetri? Eppure lui, romano autentico, classe 1952, scrolla le spalle e sgancia un sorriso. "Certo che sì", dice presentandosi al ritiro della prima squadra giallorossa quando ha soltanto vent'anni. Rimuginano i preparatori atletici e sembrano perplessi pure i compagni. Lui però nelle giovanili si è disimpegnato bene e questo gettone se l'è conquistato con il sudore. Non importa se è l'estremo difensore più basso nella storia della Roma, e anche in quella della Serie A (in coabitazioone con Angelo Colombo).

Certo, mica facile ricavarsi un ruolo nella Roma di Helenio Herrera, con Alberto Ginulfi e Giovanni De Min davanti. Un terzo portiere così giovane e così basso, si sussurra, non vedrà mai il campo. Invece il fato si diverte un mucchio ar rimescolare le carte. Giorno di Santo Stefano del 1971: Ginulfi s'è beccato la mononucleosi e De Min ha incassato sette gol nelle ultime due partite, giocate contro Napoli e Milan. Herrera - che è arrivato sesto l'anno prima e arriverà settimo in questa stagione - pensa che sia venuto il momento di rischiare qualcosa di diverso per non annacquare così precocemente le ambizioni della lupa.

Quintini
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Così eccoli, decine di migliaia di tifosi, accorsi allo stadio subito dopo pranzo per vedersi Roma - Bologna e storditi nel trovare tra i pali della loro squadra quel ragazzino così poco svettante. Non possono ancora sapere che se ne innamoreranno. Perché Quintini compensa la carenza di centimetri con la statura del suo cuore da sportivo che si danna per strappare il risultato. Per la cronaca, quel pomeriggio finisce 1-0. Lui infila una serie di interventi prodigiosi. Porta mantenuta inviolata. Primi complimenti incassati.

Francesco gioca titolare anche le due gare successive - altra vittoria senza gol subiti contro l'Atalanta, pareggio con un gol preso contro il Catanzaro - prima di tornare a cedere i galloni della titolarità al recuperato Ginulfi. Con la Roma, in quello stesso anno, vincerà anche il trofeo Anglo - italiano, pur non scendendo mai in campo. Per il resto delle sue otto stagioni in giallorosso verrà utilizzato con il contagocce: solo nove presenze. L'avaro impiego al quale sono per natura destinati i terzi portieri. Ma lo spogliatoio lo ama e il pubblico pure. L'ha capito in un gelido giorno subito dopo Natale, che quel ragazzo contiene qualcosa di differente al suo interno.

E, seppure in un'epoca ancora analogica, l'ispirazione fornita da questo piccolo portiere capace di travalicare la limitatezza fisica supplendo con il coraggio, si espande. Aumentando la stima e l'affetto per un giocatore che forse oggi in Serie A non ci starebbe, ma ci perderemmo noi.

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